Anno | 2024 |
Genere | Biografico, |
Produzione | Germania, USA, Emirati Arabi Uniti, Italia |
Durata | 123 minuti |
Regia di | Pablo Larraín |
Attori | Angelina Jolie, Valeria Golino, Kodi Smit-McPhee, Alba Rohrwacher, Pierfrancesco Favino Haluk Bilginer, Jeremy Wheeler, Rebecka Johnston, Toma Hrisztov, Stephen Ashfield, Alessandro Bressanello, Philipp Droste, Marcell Lengyel, Kay Madsen. |
Uscita | mercoledì 1 gennaio 2025 |
Tag | Da vedere 2024 |
Distribuzione | 01 Distribution |
MYmonetro | 3,30 su 11 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 3 settembre 2024
Il racconto degli ultimi giorni di Maria Callas.
CONSIGLIATO SÌ
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Il 16 settembre 1977 Maria Callas muore a 53 anni nel suo appartamento di Parigi, dove viveva sola con l'unica compagnia dei fidatissimi Ferruccio, autista e maggiordomo, e Bruna, la domestica. Nella settimana precedente alla morte, e a più di quattro anni dall'ultima performance, la straordinaria soprano greco-statunitense fa i conti con il peso della sua fama, con il ricordo ancora forte del compagno Aristotele Onassis e, forse, con un ultimo tentativo di tornare a calcare i palcoscenici dell'opera, pur indebolita e con una voce nella quale lei per prima non riconosce più il timbro de "la Callas" e delle sue indimenticabili interpretazioni.
Chissà se quella di Pablo Larraín ha sempre voluto essere una trilogia, o se i suoi ritratti di icone femminili del ventesimo secolo - colte sul precipizio della tragedia in una perenne lotta tra identità e aspettative esterne - si sono semplicemente affastellati uno sull'altro come dei bellissimi misteri insolubili.
Fatto sta che, dopo aver visitato Jacqueline Kennedy nei drammatici momenti successivi all'assassinio del presidente suo marito, e Diana Spencer prigioniera in una casa degli orrori reali, il regista cileno aggiunge un'artista al gruppo narrando con eleganza e riserbo degli ultimi giorni di una Maria Callas brillantemente interpretata da Angelina Jolie. Proprio la diva americana sembra quasi risolvere - nei panni di un'icona globale come la più celebre delle cantanti liriche - il grande equivoco della sua carriera, lei stessa troppo icona per essere anche attrice, condannata da un magnetismo regale a trovarsi in perpetuo eccesso dei personaggi "normali". Con una vita alle spalle e un successo già incastonato nella storia, Maria Callas è in quell'ultima settimana parigina un puro simbolo, che chiude gli occhi e vede il teatro, che va al ristorante per essere ammirata ma torna a casa per sentirsi amata dai suoi due protettori (Favino e Rohrwacher, di delizioso supporto). Jolie ne prende le redini con agio, canta in un'unione di voci e come tema principale sceglie la ricerca di controllo: della sua legacy come della sua privacy, delle sue emozioni e delle sue fragilità; soprattutto, del suo gran finale.
Più di ogni altra cosa il film è uno studio su come si scriva, e prima ancora si pensi, una conclusione; il senso di una fine, come in Frank Kermode, è un istinto che si applica bene tanto al terzo atto della Callas quanto a Larraín e alla sua tribù di donne a cui il mondo non smette di chiedere conto. Con abile e suggestivo uso di materiali d'archivio uniti alla solita squisita fotografia (una composizione insieme classica e barocca, "graffiata" qua e là dalla camera a mano che gli è cara) il regista insegue la sua stella per l'appartamento e posiziona strategicamente quegli inserti lirici che lei non vuole mai (ri)sentire: la Norma, la Traviata, Tosca, che dai più grandi teatri del mondo si insinuano di ritorno in quella casa sull'Avenue George Mandel. Alla scrittura c'è Steven Knight in una forma migliore rispetto agli ultimi anni, compreso proprio Spencer, a cui nuoceva la sovraesposizione mediatica di Diana e i rischi di un mimetismo interpretativo a cui Maria si sottrae. Suoi sono dei dialoghi brillanti e dei meta-incroci che mettono in corto circuito la stessa trilogia di Larraín, in un gioco di presenza-assenza tra Onassis, Kennedy e quella Jackie che li lega. Alla fine tocca a Maria trovarsi di fronte il presidente e a riconoscersi come parte di "quel ristretto gruppo di persone che possono andare ovunque nel mondo, ma che non possono mai scappare".
«Cosa è reale e cosa no è affare mio». Lo dice la Callas (Jolie) al maggiordomo (Favino), che con la cuoca (Rohrwacher) si prende cura della casta diva gli ultimi giorni, a Parigi. Ma la sua casa è l'opera, e dunque il passato, quella voce perfetta che non riesce a riprodurre, quel canto che l'ha salvata dalla madre mentre ora il corpo fa fatica e i farmaci confondono dato e memoria, rinchiudendola [...] Vai alla recensione »
Giano bifronte del cinema contemporaneo, il cileno Larraìn alterna opere drammatiche legate alla storia e alla cultura del suo paese (ultima El Conde premiata qui appena un anno fa) con ritratti di celebri figure femminili rese icone pop da un destino diversamente crudele. Dopo Jackie (Kennedy) e Spencer (Diana) a inaugurare il Concorso arriva Maria (Callas).
Con pudore, nella prima inquadratura del biopic Maria Pablo Larraín nasconde il corpo esanime della "Divina". Lo spettatore non è ancora pronto a condividere questa confidenza, almeno non prima di ripercorre cinematograficamente l'ultima settimana della vita ricca e travagliata della cantante lirica più celebre di sempre. La storia inizia, o finisce, il 16 settembre 1977 a Parigi.
Maria. Prima della voce ci sono le labbra gonfissime di Angelina Jolie, sembra di vederle riflesse sul marmo accecante nel sole del cambiamento climatico mentre la ragazzina giapponese si scatta un selfie accanto alla fotografia dell'attrice. Maria è il nuovo «capitolo» che Pablo Larraín dedica alle «donne iconiche» del Novecento dopo Jackie Onassis (Jackie, 2016) e Lady Diana (Spencer, 2021), tutti [...] Vai alla recensione »
Scatta il concorso. Maria di Larraín candiderà come miglior attrice Angelina Jolie all'Oscar 2025. Ma senza acuti. L'attesa pellicola sulla Callas è un frullato di scenette tra passato paffuto in Grecia, La Scala di Milano, yacht del "basso e brutto" Onassis (errore: il protagonista del film sembra lui) e un presente malaticcio a Parigi 1977. In Francia l'attempata "Tigre dell'opera" incontra fantasmi [...] Vai alla recensione »
In questi giorni girano in rete video - dichiaratamente falsi - in cui personaggi pubblici come Donald Trump, Kamala Harris ed Elon Musk compiono rapine a mano armata e vengono arrestati dalla polizia. Sono realizzati con il programma di intelligenza artificiale Grok, brevettato dallo stesso Musk. Sono rozzi, ma più che sufficienti a ingannare miliardi di gonzi in giro per il pianeta.
La galleria femminile di Pablo Larraín aggiunge un ulteriore quadro, non a caso intersecando vecchie conoscenze: Maria (Callas) parla a distanza, per ovvi motivi, con Jackie e c'è un momento in cui le due donne in quest'ultimo film si sfiorano al capezzale di Onassis. È uno dei momenti più toccanti di quest'ultimo lavoro del regista cileno, al pari di quello, ma nel caso più sferzante, con John Kennedy [...] Vai alla recensione »
"Noi siamo fortunati, possiamo andare in qualsiasi parte del mondo senza problemi. Ma non possiamo mai scappare da nessuna parte". È un cortocircuito incredibile quello che si viene a stabilire quando tra i tanti momenti della vita ripensata di (e da) Maria Callas ci troviamo di fronte a questo tête-à-tête tra la Divina e il presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy: poco prima Marylin [...] Vai alla recensione »
"Questa autobiografia si sta scrivendo davanti ai miei occhi, attraverso le visioni, non so nemmeno se tu sei reale", dice Maria Callas (Angelina Jolie) a sua sorella Iakinthi (Valeria Golino) in una delle scene più belle di questo Maria. Ripartiamo da qui: lo spessore teorico dei film di Pablo Larraín si è sempre manifestato nella decostruzione delle figure pubbliche e/o dei dispositivi di potere [...] Vai alla recensione »
Maria è la chiusura di una trilogia. È l'ideale terzo atto di una riflessione che Larraín ha condotto sulla storia del secondo Novecento attraverso il racconto di tre personaggi, tre icone femminili, che hanno contribuito a definire in termini culturali, oltre che di costume, il concetto stesso di contemporaneità. Dopo Jacqueline Kennedy (Jackie, 2016) e Lady D.