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FRANCO BAGNASCO: giugno 2014

venerdì 27 giugno 2014

CLUB DOGO, EMIS KILLA, FEDEZ E J-AX * L'ARENA DI VERONA APRE AI GLADIATORI DELL'HIP HOP

L'operazione monstre è inedita, a memoria mia, e anche molto interessante. Quindi potrebbe incontrare i favori del pubblico.
Il 14 luglio i 4 gladiatori dell’hip hop italiano CLUB DOGO, EMIS KILLA, FEDEZ e J-AX conquisteranno per la prima volta l’ARENA DI VERONA per l’evento musicale dell’anno, HIP HOP TV ARENA.  Ad accompagnarli sul palco per la prima volta L’Orchestra Filarmonica Italiana, diretta dal M° Daniele Parziani, che schiererà per l’occasione 30 elementi pronti a ritmare la sfida.

Il più importante teatro lirico all’aperto del mondo si sta per trasformare in una nuova “arena” dove i due mondi all’apparenza opposti dell’hip hop e della musica classica si fonderanno in un incontro-scontro all’ultimo beat, che si preannuncia ricco di colpi di scena per i fan del genere.

CLUB DOGO, EMIS KILLA, FEDEZ e J-AX, tra gli artisti che hanno maggiormente contribuito alla crescita dell’hip hop in questi anni e che riscuotono grandissimi consensi di critica e pubblico, si scontreranno a suon di rime e freestyle e porteranno sul palco i successi del proprio repertorio, alternando brani in versione originale a brani reinterpretati in veste inedita con l’arrangiamento sinfonico, per creare sonorità e atmosfere mai esplorate prima!

Questa è la grande sfida HIP HOP TV ARENA, evento ideato e diretto da Hip Hop TV (unica emittente interamente dedicata alla musica urban, solo su Sky canale 720), con la direzione artistica di Max Brigante e prodotto da Massimo Levantini per Live Nation: far incontrare due mondi diversi fra loro in un connubio sorprendente, in una contaminazione tra antico e nuovo, classico e moderno, tra il rigore e l’intelletto della musica sinfonica e l’energia e la passione tipiche della musica che nasce dalla strada.

mercoledì 25 giugno 2014

CARO BALOTELLI, IL PROBLEMA NON È CHE SEI NERO, MA CHE HAI GIOCATO MALE

A me di Mario Balotelli non è mai importato granché. Né odio né amore. Nulla. L'indifferenza più totale. Non seguo il calcio (se non le partite dei Mondiali), e l'ho sempre vissuto più che altro come un fenomeno del baraccone del gossip, che non ho in particolare simpatia. Un capriccioso ragazzo milionario del pallone che ha anche la caratteristica di essere di colore. Ma a prevalere nella mia percezione era ed è il capriccioso ragazzo milionario, beninteso, non il colore della sua pelle.
Per questo sorrido - e un po' m'indispettisco - leggendo le forti dichiarazioni che il nostro affida al proprio profilo Instagram (non all'Ansa, a Instagram, e già lì si vede lo spessore dell'uomo: è come andare a sposarsi a Las Vegas) parlando di sé in terza persona all'indomani della disfatta di Italia-Uruguay e dalla nostra uscita con disonore da Brasile 2014. Eccole:

«Forse, come dite voi, non sono Italiano. Gli africani non scaricherebbero mai un loro "fratello". MAI. In questo noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti. VERGOGNA non è chi può sbagliare un gol o correre di meno o di più. VERGOGNOSE SONO QUESTE COSE. Italiani veri! Vero? ...  «La colpa non la faccio scaricare a me solo questa volta perché Mario Balotelli ha dato tutto per la Nazionale e non ha sbagliato niente (a livello caratteriale). Cercate un’altra scusa perché Mario Balotelli ha la coscienza a posto ed è pronto ad andare avanti più forte di prima e con la testa alta. Fiero di aver dato tutto per il Suo paese».


Ora, Marietto santo, hai perso giocando davvero malamente. Me ne sono accorto persino io e l'hanno sottolineato un po' tutti gli esperti pallonari. Perché allora ricorrere a questi mezzucci mediatici, a questo vittimismo d'accatto che serve a ribaltare un frittatone mal riuscito e peggio digerito? Per qualche puerile battuta razzista che ti sarà arrivata sul web? Capirai... Sono tutte cosine che tu, «SuperMario», come accetti di buon grado di essere chiamato, dovresti avere messo bene in conto. Che dovresti considerare parte integrante del tuo cospicuo ingaggio. La gogna non viene risparmiata ormai a nessun personaggio pubblico, sui social. Sarà anche un brutto andazzo, ma perché tu dovresti esserne esentato? Però stavolta la tua pelle non c'entra, non fingere di non capirlo. C'entra il tuo lavoro mal fatto. Solo e soltanto quello. Saresti stato un «negro» (come dici tu) portato in trionfo se avessimo vinto. Invece hai giocato male e ci hanno sbattuto fuori. E ora ti criticano. Chi più elegantemente, chi meno. Comodo mettersi a gridare al razzismo, ora. Scandalizzarsi per battute politicamente scorrette che tutti noi comuni mortali (un po' meno esposti e pagati di te, concedicelo) dobbiamo sopportare. Dammi retta, Balotelli: invece di parlare comprati un bolide nuovo e facci il record da casello a casello. Chessò, fammi lavorare di fantasia: sfascia il privé di una discoteca, metti incinta una velina. Questo ci aspettiamo da te: quelle belle, sane cazzate di una volta. Se ti metti anche a parlare, è finita. Si chiude. E andiamo a nero.

CAPITAN VENTOSA, ALIAS LUCA CASSOL * 10 ANNI CON UNO STURALAVANDINO IN TESTA

Ormai sembra normale, ci abbiamo quasi fatto il callo, ma da 10 anni (urgono candeline sulla torta) c’è qualcuno che scorrazza per gli italici palinsesti con uno sturalavandini in testa. L’idea non poteva non essere che di quella sagoma di Antonio Ricci, il quale per «Striscia la notizia», un paio di lustri fa, ha reclutato l’anonimo inviato milanese Luca Cassol per poi trasformarlo in un supereroe in lattice giallo: Capitan Ventosa.
Cassol, ci racconta come ha fatto il Clark Kent che è in lei a diventare Superman?
«Iniziai a lavorare per “Striscia” 12 anni fa, e alla terza stagione Ricci mi chiamò nel suo ufficio: aveva alcuni bozzetti in mano, con i disegni del futuro Ventosa. “Per te avevo pensato a questo personaggio… Ti va bene?”».
E lei?
«Sbiancai, mi volevo ammazzare. Ma come facevo a dirgli di no? Mia madre aveva persino buttato il televisore dalla vergogna. Morale: prima, passavo quasi inosservato. Da lì in poi, diciamo che mi si notava».
Era diventato Mister sturalavandino.
 «Già, perché è uno sturalavandino, non serve per il water. Chiariamo. Qualcuno ancora equivoca».
Qual è il servizio che non può dimenticare?
«Uno tra i primi. Intervistavo un serissimo capitano dei Nas di Parma, su un truffa alimentare. Alla fine gli ho chiesto: “Ma come ha fatto a restare serio?”. “Non lo so”, mi ha risposto».
E quello più seguito?
«49,5% di share: la consegna del Tapiro ad Al Bano lasciato dalla Lecciso in diretta all’“Isola dei famosi”. A Santo Domingo noleggiai un paio di elicotteri, e glielo lanciammo la domenica mentre su Raidue era in onda la Ventura con “Quelli che… il calcio”. Impresa epica».
Dove si cambia?
«Sono tre pezzi e non serve trucco. Mi vesto ormai ovunque: cabine telefoniche, bauli di automobili… Una volta Ricci mi ha tenuto in giro 14 giorni per seguire una pista».
Quanti servizi fa all’anno?
«Una settantina, da solo o con il Ventosa Radio Team, a caccia di intereferenze elettromagnetiche. Intervisto potenti e pendolari, chiunque».
Però qualuno le avrà dato buca…
«Marcello Lippi, all’epoca allenatore della Nazionale, ma è l’unico in dieci anni».
Il lavoro più pesante, a «Striscia», lo fa Valerio Staffelli, consegnatore ufficiale di Tapiri?
«Mannò, siamo tutti alla pari, mi creda».
È fidanzato?
«Sono molto felicemente single».
In Italia, ovunque, in ambito lavorativo con la crisi ormai non si fa altro che parlare di Piano B. Lei il suo lavoro lo consiglierebbe?
«Perché no?! Serve naturalmente grande disponibilità e un po’ di autoironia».
Lo sa che non potrà fare Capitan Ventosa tutta la vita, vero?
«Lo so. Per ora continua a piacermi, ma un domani non sarebbe male un programma sui motori, visto che per hobby sono pilota e navigatore di rallye».
E poi, a tempo perso, canta con una band…
«Cover di pezzi Anni 80, di tutto. Ad agosto, partendo da Catania il 2, saremo in giro per l’Italia. Del resto “Striscia” si ferma tre mesi, e io non riesco a stare fermo».
Ma sua madre l’ha poi ricomprato il televisore?
«Certo».

(15 LUGLIO 2013) 

lunedì 23 giugno 2014

MYKONOS * VUOI NOLEGGIARE BIKE O SCOOTER? OCCHIO A GEORGE

George è un greco come tanti, qui a Mykonos. Quelli che si chiamano magari Gheorghiôs o Matheus, più greci del Partenone, ma sull'insegna del negozio scrivono George o Matthew per farsi capire e intortare meglio i turisti, che tentano tutti di parlare inglese, o lo parlano davvero. Roba che la madre li riempirebbe di sberle e feta nelle ciabatte al risveglio. 
George noleggia "scooter and bikes" qui sulla ridente isoletta delle Cicladi, e ricorda ancora vagamente di quando Omero gli raccontò quella brutta leggenda della ricevuta fiscale, alla quale non ha mai creduto davvero.
Appena arrivi ti fidi ciecamente (come Omero) del buon George, perché te lo segnala la proprietaria dell'hotel, che non costa un assassinamento ma su trip advisor ha più stelle di Grillo e Casaleggio messi assieme.
George non sorride mai. Mai. E quando ti vede arrivare non fa eccezione alla sua antica regola. In compenso ti fa prelevare dai suoi sorridenti bravi all'albergo e ti farà riportare là a noleggio finito. Un signore d'altri tempi, in pratica.


Alla richiesta di due normali scooter basici (no auto, no quad, no frivolezze) ti tira fuori due evidenti ciofechine da 50 cc che tu speri almeno possano funzionare, visto che pretende 20 euro al giorno. A giugno. Più che per un 125 a luglio a Formentera. E lì già vorresti essere Mildred per cantargliene quattro. Anche in rima, volendo. Ma resisti, sei in vacanza. Perché rovinarsela per una scemata?
George trattiene la tua patente - mai visto al mondo - vuole il pagamento anticipato di 160 euro a testa in contanti ed emette scontrino per 80. Poi ti dà lo scooter completamente vuoto ("C'è il distributore dietro l'angolo"), così la benzina che avanzerai alla riconsegna potrà riciucciarsela con il tubo di plastica e trattenerla. Poi ti saluta dandoti il vecchio casco unto come la moussaka.
Parti pieno di timori e speranze. La ciofechina arranca più di Brunetta davanti a un'antica libreria, dai gas ma la marcia entra random quando sei già a manetta. In compenso il mio mezzo ha guasto anche l'indicatore del carburante, che segna zero persino dopo il pieno. Torno subito a farmelo cambiare. George me lo sostituisce senza problemi. È un signore, lui. Il nuovo modello è uguale nel sembiante ma scoprirò dalla terza accensione che richiederà una decina di minuti ogni volta per partire. Il nervosismo cresce.


Allo speech serale per i nuovi clienti dell'albergo, l'incaricata spiega che "per il noleggio di uno scooter potete rivolgervi a George, che vi chiederà 15 euro al giorno". Ho il fumo alla testa, e la mattina dopo, più carico di Furio di Verdone, blocco Anna, la proprietaria dell'hotel, le racconto tutto, e le faccio capire che se non sistema le cose con l'amico incauto, ciò potrebbe incidere pesantemente anche sui feedback per la sua struttura. Sto molto attento a non esagerare, ma in breve la nostra capisce di avere di fronte un bravo ragazzo, ma all'occorrenza anche uno tra i più grossi cagacazzo della Vecchia Europa. In men che non si dica, chiama George, lo solleva da terra con una furia greca notata solo blandamente in alcuni film di Jean Claude Van Dammopoulos, e riaggancia pregandomi di tornare subito da lui, che si attiverà "subito per risolvere il problema".
George, reduce da una figura di cacca epocale, ci aspetta sulla porta con un timido sorriso. L'aveva sfoggiato l'ultima volta alla comunione del figlio Ràntolos. O Rantolòs. Il cambio degli scooter con due cinquantini seminuovi che finalmente funzionano (come gli altri che circolano per l'isola) è pressoché immediato. Li riporta al pieno aspirando dagli altri la benzina. Più complicata sembra la restituzione dei 40 euro a testa, visto che ora George pretenderebbe l'applicazione di 25 euro a cranio per imprecisate "tasse" da pagare. Gli faccio notare che lo scontrino del giorno precedente era di 80 euro, e incassandone 120 ne resterebbero altri 40 di evasione, moltiplicati per due. George, che a questo punto ha ben chiara la situazione, rinuncia ai 25 euro di fantomatiche tasse e opta per la resa incondizionata. Restituisce il maltolto. Ma senza mai scusarsi, ovviamente.
Dal momento del ritorno in albergo tutti, dall'ultima cameriera al barman a bordo piscina, ci trattano come due sceicchi arabi in vacanza. Possiamo chiedere tutto. È la Grecia, bellezza. E non puoi farci niente. O forse sì, ogni tanto.

venerdì 13 giugno 2014

ELISABETTA CANALIS * STO SOFFRENDO, HO PERSO IL BAMBINO CHE ASPETTAVO

Con un toccante post finito su Twitter e sul social network WhoSay (lo riportiamo qui sotto in versione ingrale), Elisabetta Canalis annuncia di aver perso il bambino che aspettava. Ne avevano parlato con grande risalto i giornali di gossip, ma la notizia è stata data forse troppo presto. Forse proprio per anticipare altre uscite improprie sui settimanali, senza il dovuto tatto, e per evitare speculazioni, ha voluto dirlo personalmente. Ecco che cosa ha scritto l'ex Velina al suo pubblico per comunicare l'ultima notizia che in questo momento avrebbe voluto dare:

«Avrei voluto iniziare questo post in maniera diversa, innanzitutto ringraziando tutte le persone, mamme e future mamme che mi hanno scritto cose bellissime ....credetemi, tante volte avrei voluto rispondervi e condividere questa gioia immensa con voi, cioe ' l'arrivo di un bambino ma avevo deciso di darmi del tempo , perche' era ancora troppo presto e , come tutti mi avevano consigliato, "non si dice mai prima dei 3 mesi". Ho passato delle settimane controverse, la stampa era arrivata a sapere del mio stato ancora prima che io stessa ne volessi parlare...questo succede quando si ha un'esposizione pubblica e non è colpa di nessuno. La gioia di poterlo gridare al mondo spettava comunque a me. Una felicita ' ..... incredibile. Ma purtroppo la vita ti mette dietro l'angolo realta' che non ti aspetti e che è durissimo affrontare, anche se pensi di essere forte e preparata. Non si è mai veramente pronti a sentirsi dire che non c'e' piu' battito e che si era fermato gia' tempo prima. Inutile dirvi come avevo programmato la mia vita in questi ultimi 3 mesi. Chi ha passato quest'esperienza lo sa bene . E vorrei dire a quelle donne che ci stanno passando in questo momento di essere forti ragazze perche' la vita continua e non è' colpa di nessuno e la Natura agisce per vie incomprensibili . Noi possiamo solo accettare . E voglio dirvi che vi sono vicina se state soffrendo come sto soffrendo io , inutile negarlo , si prova un dolore inspiegabile ma costante che fatica ad andare via. So di essere fortunata perche' ho un uomo speciale vicino a me che auguro a tutte di avere. Il futuro è pieno di sorprese e di felicita' e ve ne auguro tantissima, io continuo a crederci . E grazie per l'amore che mi avete dimostrato anche in questa circostanza».

giovedì 12 giugno 2014

RUFFINI E IL «GRAN TOPA» ALLA LOREN * UMORISMO VECCHIO, PIU' CHE VOLGARE

Paolo Ruffini che presenta i David di Donatello e sul palco (credendo di essere tra gli infelici di «Colorado») rompe la liturgia toscaneggiando un: «Signora Loren, lei è sempre una gran topa...» è senz'altro un'uscita infelice. Molto infelice. Per il contesto, l'età della signora, la volgarità, direte voi. Non è così. O almeno, non è questo il motivo principale.
Il problema è che Ruffini, paladino del giovanilismo cabarettistico, ha fatto qualcosa di teatralmente molto vecchio. Potremmo discutere a lungo sul dilagare dei toscani e dei toscanismi nello spettacolo italiano, pari solo al cabarettismo romanesco. Ma sei tu dai della «gran topa» a Sophia Loren fai solo una cosa preistorica, non innovativa. Queste sono trovate sulle quali Roberto Benigni campa già da trent'anni, e ha iniziato a farle in una televisione ingessata. Credere che oggi - dove abbiamo già visto e sentito tutto e il suo contrario -, siano trasgressive, è ridicolo, più che divertente. E Benigni è Benigni. Ruffini - senza offesa - soltanto Ruffini. Ha sbagliato, è stato giustamente massacrato anche da Valerio Mastandrea, che ha infierito sul palco. Ma ora non crocifiggiamolo. Ha sbagliato forma e sostanza. Una cazzata ingenua e sbruffona che sicuramente non ripeterà.

mercoledì 11 giugno 2014

«ME FUI» * BELEN E CECILIA RODRIGUEZ AFFRONTANO LA PROVA COSTUME

Finalmente una cosa nuova, qualcosa che da loro non ti aspetti. Belen e Cecilia Rodriguez, le sorelle d'importazione poco esposte dello spettacolo italiano, realizzano insieme una linea di costumi da bagno. Il marchio si chiama Me fui, che in spagnolo significa "Me ne sono andata". Non si capisce bene dove, forse su Marte. Incontrando Ufo improvvisamente ringalluzziti dalle forme delle due presenzialiste dello star system casereccio. Ciò spiegherebbe fra l'altro gli schizzi extraterrestri sulla fotografia, ovviamente molto glamour.
Comunque, ecco il concept dell'idea, come da comunicato stampa: 
"Realizzare una linea di costumi è sempre stato il sogno nel cassetto delle sorelle Rodriguez. E proprio durante la loro ultima vacanza per visitare la famiglia in Argentina, lo scorso Natale, è nata l’idea di Me Fui. Durante il viaggio in Patagonia, passeggiando tra i tanti negozi di tessuti dalla trama tradizionale, della guardas pampas, Belén e Cecilia hanno deciso di creare una linea che si ispirasse a quelle tradizioni: le tonalità calde delle terre indiane dei mapuche, in grado di richiamare le loro origini sudamericane, unite ad una produzione di massima qualità e completamente italiana. Sono nate così cinque fantasie (mapuche: turchese; antuche: blu; perù: rosso; guadalupe: verde; rupanco: nero) realizzate poi in diversi modelli, in modo da adattarsi alle forme diverse di ogni donna ed esaltarne bellezza e sensualità".

martedì 10 giugno 2014

EDOARDO RASPELLI * 31 ANNI DI TV DEL DOMATORE DEL TRASH FESTAIOLO

Ieri sera Edoardo Raspelli festeggiava al Just Cavalli di Milano i suoi primi 30 (31, per la precisione) anni di televisione. Il debutto fu con Carla Urban nel 1983 in «Che fai, mangi?». Da allora, il giornalista e critico enogastronomico non si è mai fermato né sottratto. A qualsiasi cosa. Sino all'approdo a «Melaverde», l'ultima sua creatura, che ben veleggia sotto il marchio Mediaset.
È difficile spiegare ai non iniziati del mondo dei media chi sia Raspelli, milanese, classe 1949. Un garbato signore extralarge ridimensionato dal bendaggio gastrico e dannatamente bravo (ma soprattutto ostinato) nell'arte di autopromuoversi. Martellante ufficio stampa di se stesso, con un ego che fa capoluogo di regione. Capace di inviarti e-mail a nastro durante il giorno e lunghi sms alle due di notte con i dati d'ascolto dell'ultima puntata del suo programma. Uno che non si sottrae neanche sotto tortura, insomma.

Ma anche una sorta di Federico Fellini cresciuto sotto la Madunina, capace di organizzare party visionari all'insegna del surreale. Feste che riuniscono nello stesso contesto la sosia di Liz Taylor, intenta a divorare l'ottimo prosciutto crudo della bella salumaia figlia del titolare di Ruliano (Langhirano, Parma), un po' di aspiranti attrici e starlette più o meno in ascesa, come Maura Anastasia, il giallista Andrea G. Pinketts con i suoi indimenticabili cappellini di paglia, modelle russe in fila indiana e bombe del sesso pavesi, come Eleonora Espago. Ma anche brillanti presentatrici-croupier come Chiara Squaglia, attori, giornalisti in debito o in credito di visibilità. Insomma, un circo unico nel suo genere. Un filo trash, forse, ma del resto scagli la prima pietra chi non lo ama almeno un po', questo benedetto trash para modaiolo e festaiolo. Che sarebbe tanto piaciuto al maestro riminese, fra copie attualizzate della sua Gradisca, torte alla panna che fanno tanto Colpo grosso e code di abbuffoni al buffet. 
Sotto questo tendone, Raspelli è il domatore. Un costume che - ora che ci penso - non gli ho mai visto indossare. E mi piacerebbe lo facesse, prima o poi. Perché sarebbe il suo.

lunedì 9 giugno 2014

«MARACANA» DI EMIS KILLA? ZIO, È DI UNA BANALITA' MONDIALE

Ascoltando «Maracanã» di Emis Killa, il brano composto come sigla degli imminenti Mondiali in Brasile trasmessi da Sky, non posso non stupirmi ancora una volta per l'infantile pochezza dei testi di molti rapper nostrani. Roba che al confronto il «trottolino amoroso dudù dadadà» di minghiana (ma anche minghiona) memoria era alta scuola. C'è il ritornello furbetto ed efficace (questo sì), che si presta al coro da stadio, c'è un video girato guarda caso a Rio de Janeiro, tra bambini poveri e favelas, ma il nostro non si accontenta di farne una canzoncina buonista, come avrebbe fatto per esempio Rocco Hunt. No, lui ci mette anche un po' di impegno e sociologismo forzato e strappacore, la parabola del bambino (criança in portoghese) che diventa campione in mezzo alla miseria e a mille difficoltà. Ma la profondità e lo spessore sono quelli di un corso obbligatorio per la sicurezza sul lavoro di quelli che in questo periodo le aziende sono tenute a far fare ai dipendenti.
Quelli che ti spiegano che per andare dal punto «x» a quello «y» devi: alzarti dalla sedia, dirigerti verso la porta, infilare la chiave nella toppa, ruotarla più volte in senso antiorario, scendere in strada, prendere l'auto, la bici, un taxi, un bus, un tram, un riscò, un'auto a noleggio, pagare il tutto, ecc. ecc. Too much informations.
Ingenue descrizioni minuziose. Cose che in genere già sai o che è inutile spiegare. Che è un po' la tecnica o il mood del rapper, che sembra stupirsi o indignarsi per tutto. Con qualche eccezione sul piano qualitativo, tipo J-Ax, più ironico/sarcastico e dunque intelligente, o anche certe pagine di Fedez.
Bella zio Emis! Magari l'Italia non vincerà i Mondiali. Tu però sei un discreto paraculho, come direbbero in portoghese. 

giovedì 5 giugno 2014

5 SECONDS OF SUMMER A MILANO * E I FANS ASSEDIANO RADIO E TV



MILANO - È stato un assedio senza precedenti. Pacifico, ma agguerrito.
Oggi alle 13.00 Fabiola e Daniele Battaglia di Radio 105 hanno incontrato i 5 Seconds Of Summer per una puntata del programma «105 all’Una» trasmessa in diretta video su 105.net. Sarà proprio la band australiana, il 28 e 29 giugno allo Stadio Meazza di Milano, e il 6 luglio all’Olimpico di Torino, ad aprire gli attesissimi tre concerti-evento degli One Direction in Italia. Radio ufficiale, Radio 105.
Centinaia gli adolescenti (come si evince dalle foto) che si sono assiepati sotto gli studi di Radio 105 in Via Turati a Milano, dalle 12 a oltre le 14. Stasera la band sarà ospite della finale di «The Voice of Italy», in diretta su Raidue. Canteranno «Don't Stop». Mentre i britannici Clean Bandit porteranno in scena «Rather Be».

Il talent, salvo sorprese, dovrebbe decretare la vittoria al televoto di Suor Cristina Scuccia.

mercoledì 4 giugno 2014

THE VOICE, LA FINALE * GIORGIA O CRISTINA? SFIDA DI SUORA, MA VINCERA' LA FEDE

Giorgia Pino o Cristina Scuccia? Sfida di suora, verrebbe da dire, pascolando in altri terreni più prosaici e lanciando un hashtag birichino: #SFIDADISUORA.
In ogni caso, buon sangue non mente. E se non mente neppure il Televoto, che ha dalla sua una bella dose di demagogica ruffianeria atavica, Suor Cristina Scuccia vincerà senza troppe difficoltà la seconda edizione di «The Voice of Italy». Pur essendo probabilmente meno talentosa della diciottenne salentina dalla voce piena e duttilissima.
Gli altri due finalisti, ovvero Tommaso Pini e Giacomo Voli? Per farcela possono solo puntare sul miracolo. Terreno sul quale si muove senza dubbio più agilmente la piccola religiosa di Comiso (Ragusa), che appartiene al team di J-Ax. Con buona pace di Carrà, Pelù e Noemi.
«Ho un dono e ve lo dono», dice la sister act de noantri, e il pubblico risponderà all'appello ringraziandola, felice di portarla non certo nella polvere, ma sull'altare. E a chi dice che in fondo è tutta tv e dunque farebbe buon gioco, per l'effetto sorpresa (e perché il personaggio è stato già mediaticamente «spremuto») una sconfitta della sorella, viene facile rispondere che l'Italia di questi tempi ha bisogno di un sogno. Lo stesso che ha regalato al mondo Papa Francesco. E non sarebbe carino portarglielo via. L'unica speranza che ha Giorgia, l'altra favorita, è che possa prevalere agli occhi del pubblico il sogno del brutto anatroccolo che diventa cigno, della ragazzina bruttarella che si è fatta da sola e che sfonda nello spettacolo grazie a un talento maiuscolo. L'essenza del talent di Raidue, volendo. In un'edizione diversa, forse ce l'avrebbe fatta. Questa è nata e cresciuta in missione per conto di Dio. Dunque non c'è storia.

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