“In Israele, per poter essere un realista devi credere nei miracoli”. E del resto solo chi ha il dono di una potente fede nel divino, come il padre della patria David Ben Gurion che pronunciò questa frase, avrebbe potuto anche solo immaginare di piantare vigneti lungo i riarsi confini del deserto del Negev, nel sud del paese. Eppure, per quanto spesso si parli di Eretz Israel, come fosse una diva di altri tempi, non si sa niente di lei fino a quando non la si conosce dal vivo; e per molti è una vera sorpresa scoprire non solo che in questa terra la coltivazione della vite risale a 5mila anni fa, ma soprattutto che oggi sono ben cinque le zone di produzione di vino nel paese (Galilea-Golan, Shomron, Samson, Colline della Giudea e Negev) per un totale di oltre duecento vigneti che producono attorno venti milioni di bottiglie l’anno. Chardonnay, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon, ma anche Shiraz e Cabernet Franc che poco alla volta hanno conquistato l’encomio dell’expertise enologica internazionale. Una guida a una Israele “diversa”, dove l’enologia si mischia all’archeologia e alla religione per attirare adepti della filosofia slow tourism e chi non può resistere alla magia di questo paese multiculturale, multietnico, multireligioso e in bilico, sempre “on the edge of a crisis”.
Storia
L’area geografica che oggi è chiamata Israele vanta una tradizione vitivinicola millenaria con testimonianze archeologiche di vinificazione intensiva che risalgono al 28° secolo a.C. Ma sebbene il vino venga citato anche nella Torah, quello da considerare capostipite dell’attuale produzione israeliana risale ai primi anni del XIX secolo, quando l’imprenditore italiano Moses Montefiore promosse il ritorno all’attività vinicola e convinse la famiglia Shorr e Teperberg a coltivare i vigneti; quest’ultima inaugurò anche una scuola di agricoltura nei pressi della vecchia Jafo. Ma la vera svolta avvenne durante la Prima Aliyah, quando il barone Edmond de Rothschild, proprietario dello Château Lafite di Bordeaux, finanziò l’iniziativa vitivinicola, contribuendo indirettamente allo sviluppo del sionismo, e piantò due vigneti per la produzione su larga scala: a Rishon LeZion nel 1882 e a Zichron Ya’acov nel 1890. Una nuova rinascita si ebbe poi negli anni 80 del Novecento, quando vennero condotti esperimenti con nuove varietà di uve importate dall’Europa: l’obbiettivo era creare vino di alta qualità in Israele. Così, nel 1983, l’apertura della Golan Heights Winery segna l’inizio della “rivoluzione del vino”.
Vini Kosher
Israele esporta in tutto il mondo i vini certificati Kosher, cioè prodotti rispettando l’insieme di regole alimentari presenti nella Torah, ovvero la “Kashrut”. I precetti fondamentali stabiliscono che non si possa procedere alla vinificazione prima che le piante abbiano quattro anni di età. Inoltre, i terreni devono risposare ogni sette anni (anno sabatico), gli strumenti devono essere kosher, ogni operazione manuale e di trasporto del mosto o del vino deve essere eseguito da ebrei osservanti, e l’1% del vino prodotto va disperso lontano dalle botti a simboleggiare la quota anticamente versata al tempio di Gerusalemme. Sull’etichetta poi compare il nome del rabbino che ha rilasciato il certificato. Consiglio per coloro che intraprendono un wine tour: fare sempre attenzione se la vigna che si va a visitare è kosher perché in questo caso non si può accedere il venerdì pomeriggio e il sabato.
Alta Galilea e Golan
A partire dagli anni 90, questa zona nel cuore dell’antica terra di Canaan, oggi anche famosa per il trekking e la produzione di cioccolata, è stata letteralmente invasa da aziende vinicole. Il suolo basaltico di origine vulcanica e il clima fresco creano le condizioni ottimali per iniziare questo tipo di coltivazione. Partendo dall’Alta Galilea, vicino al lago di Tiberiade, tappa obbligatoria per provetti Indiana Jones è il villaggio di Ramot Naftali nella valle di Kadesh. Qui vennero ritrovate dagli archeologi oltre 35mila presse per il vino, risalenti fino al 2000 a.C., a testimonianza della massiccia attività vitivinicola della zona. Meritano una visita le vigne Ramot Naftali, che produce anche il Barbera; 3 Vineyards, Amram e soprattutto la Na’aman Winery, aperta nel 2004 da Bettina, artista, e Nami, regista cinematografico. Quest’ultimo trasformò presto il suo hobby in una professione, ma senza abbandonare il proprio spirito artistico, visto che ha chiamato le bottiglie con i nomi dei suoi gruppi preferiti, band quali King Crimson e Pink Floyd. Oltre 10mila pezzi l’anno tra Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot e Cabernet Franc, la cui uva, come recenti studi dimostrano, venne coltivata in questa zona già ai tempi della colonizzazione romana. Bellissimo anche lo zimmer (l’equivalente in ebraico del bed & breakfast) con vista sulle vigne e le alture del Golan, e dove è d’obbligo il bagno in Jacuzzi sorseggiando Merlot. Seminascosta tra le montagne di Galilea c’è la Rimon Winery, la prima cantina al mondo a produrre vino (ma anche prodotti di bellezza e olio) dai melograni, frutto simbolo di prosperità e benessere nella tradizione ebraica. Possibile prenotare tour dell’azienda e anche partecipare a un workshop sulla lavorazione del cioccolato. Sempre in Alta Galilea c’è Tishbi con un bellissimo visitor center, e i vini biologici di Lueria. Dirigendosi verso il Golan, invece – senza farsi scoraggiare dalla situazione della Siria, distante pochi chilometri, o dai minacciosi cartelli di confine con la scritta “Danger Mines” –, oltre a imbattersi in greggi e mandrie, si entra nel vivo del tour con la Golan Heights Winery, dove tutto è iniziato, che propone agli ospiti tour guidati in inglese e una degustazione dei famosi vini Yarden (alla fine della quale è possibile tenersi il bicchiere). E meritano una visita anche l’Assaf Winery a conduzione familiare, dove è possibile alloggiare, mangiare e naturalmente, a pochi sheqel, fare una degustazione e provare il “Caesarea”, Shiraz che prende il nome da uno squadra del Mossad, di cui faceva parte il nonno della proprietaria. Da non perdere anche la Bazelet HaGolan e la Maor Winery. Ma la perla nascosta di questa regione è la piccola boutique winery Ein Nashut, gestita da Tamy e Bebi Kabalo, che lasciano riposare le bottiglie del loro Kidmat Zvu Babi in un vecchio bunker siriano. La struttura è composta dalla vigna e la fattoria/tourist center “Belle Ofri”, con ristorante (costruito attorno a un albero) e dove è possibile mangiare (altamente raccomandato) oppure fare solo degustazione. Tra i vini, anche un Barbera, ma non mancano calvados, grappa e formaggi fatti da Bebi, che ha studiato da un casaro italiano. Per chiudere il tour nel modo migliore, consigliatissime sono la cantina Chateau Golan a Moshav Eliad, dove si deve provare il Merlot e il Cabernet Sauvignon; e la famosissima Pelter Winery a Moshav Tzofit, che distilla anche brandy e gin. Entrambe le aziende offrono visite guidate, anche il sabato (prenotando con largo anticipo) e vantano una bellissima struttura: la sala da pranzo, con tavolo in legno sudafricano, costruita in mezzo alle botti della prima ha l’allure di una scenografia teatrale, mentre il design della cantina e dei macchinari della seconda ricordano le atmosfere steampunk della fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.
Bassa Galilea e Shomron
Chiamati dal Keren Kayemeth LeIsrael-Jewish National Fund (KKL-JNF) e l’Università Ariel hanno, archeologi, botanici e chimici hanno individuato i vitigni autoctoni dell’epoca di re Davide. Lo scopo era quello di ricreare il vino di cui si parla nella Bibbia, che è stato poi prodotto in quantità limitata in questa zona alla Recanati Winery. Si chiama Marawi, vino bianco di 12 gradi, presentato anche a Milano in occasione di Expo. Prenotando con qualche giorno di anticipo è possibile visitare la cantina (chiusa in shabbat). Altamente raccomandato il vino Yasmin, sia bianco che rosso. Un tour alla vigna Binyamina è l’ideale per chi vuole capirne qualcosa di più sul vino kosher.
Monte Carmelo
L’ebrea marocchina Dadah, nonna del vinaiolo Jackie Hazan, ottenne 120 anni fa un’approvazione speciale da parte del re del Marocco per fare il vino, proibito alla comunità mussulmana. Così nel 2007 in suo onore è nata la cantina Dadah sulle pendici del Monte Carmelo che oggi produce circa circa 20mila bottiglie l’anno. In lista anche Malbec-Barbera e Porto.
Colline della Giudea
A cinque minuti di macchina e circa trenta a piedi dalla stazione ferroviaria di Beit Shemesh (il treno è quello lento e panoramico che da Tel Aviv porta a Gerusalemme) c’è il kibbutz Tzora che ospita la cantina omonima posizionata proprio vicino alla stalla. Un’autentica esperienza israeliana è quella di sorseggiare il vino cullati dal muggito delle mucche. I vigneti risalgono le montagne attorno a Gerusalemme, le colline della Giudea. Ottimo il Sauvignon Blanc Shoresh 2015. In questa zona merita una visita anche la winery Tulip, con vino certificato dalla Vegan Society.
Negev
Lungo le pendici delle colline del Negev settentrionale, negli ultimi 15 anni hanno iniziato spuntare vigneti grazie all’ausilio di metodi di irrigazione computerizzati che sono riusciti a trasformare l’arida sabbia del deserto in terreno fertile per Cabernet, Merlot, Sauvignon Blanc, Shiraz, Carignan e Zinfandel. Con meno di 1 mm di pioggia all’anno gli israeliani sono riusciti a creare una vera “via del vino” nel deserto. Il percorso parte da Be’er Sheva, e attraversa tutto il deserto del Negev su una sola strada. Ma prima di imbattersi nella Route 40, doverosa è una visita alla Ramat Negev Winery (Kadesh Barnea Winery), isolata dalle altre sull’aridissimo confine con l’Egitto. Il vignaiolo Yogev Zadok ha studiato tre anni in Toscana: da provare il suo Gewurztraminer e il Rosé. Tornando sulla retta via, prima tappa del tour è la Sde Boker Winery, nata da un esperimento avviato nel 1999 dal Ministero dell’agricoltura per verificare la possibilità di irrigazione dei vigneti con acqua salmastra, e di proprietà del pioniere dell’enologia in Israele, Zvi Remak. Da provare i rossi fruttati Cabernet Sauvignon, Merlot e Chardonnay. Dopo una visita alla casa e alla tomba di Ben Gurion, proseguendo verso il Mar Morto, ci si imbatte nell’azienda vinicola Yatir Winery, famosa per avere degli eccellenti Cabernet e lo Shiraz. Prima di concludere il tour occorre fermarsi a visitare le città fantasma di Nitzana e Avdat, per poi provare il vino eco-sostenibile e unico al mondo della Carmey Avdat Farm. Per fermarsi a dormire durante questo tour, a dir la verità non troppo lungo, due sono i “must try”: la Boker Vallery Vineyard e la Rota Winery, in parte cantina e in parte bed & breakfast, dove è anche possibile fare un bagno rilassante nella Jacuzzi all’aperto. Per una vera esperienza di lusso, invece, bisogna andare al Beresheet hotel a Mitzpe Ramon.
In città
Per i “non” amanti dell’avventura è possibile provare tutti i vini citati rimanendo nella comoda Gerusalemme, dove l’Israel Museum dal 5 al 9 settembre organizza l’Israeli Wine Festival. La presenza delle top winery è assicurata. Mentre nella non bella, ma certo accattivante e irresistibile, Tel Aviv, all’interno del Sarona complex, mall di recente apertura, il ristorante Tasting Room è lo show room per eccellenza del vino di qualità israeliano.
Viaggi organizzati
Tanti i tour organizzati per i sentieri enogastronomici in Israele. Oltre ai pacchetti del portale Tourist Israel (www.touristisrael.com), c’è oggi Secret Gardens Tours (info@secretgardenstours.com), l’agenzia appena inaugurata della milanese Judith Sisa e della sua socia Esther Olive, che per il prossimo autunno lancerà viaggi organizzati, anche notturni, tra le vigne, basati sulla filosofia slow tourism. Si potrà cioè venire a contatto con realtà e prodotti locali e soprattutto interagire con agricoltori e produttori israeliani.
by Paola Aurucci
Hanno collaborato Gol Kalev e Mendel Hadad