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Ultimo aggiornamento mercoledì 13 dicembre 2017
La parabola artistica e umana di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, due celebri attori del cinema fascista che aderirono alla Repubblica di Salò. Il film ha ottenuto 2 candidature e vinto un premio ai Nastri d'Argento, 2 candidature a David di Donatello, In Italia al Box Office Sanguepazzo ha incassato nelle prime 8 settimane di programmazione 594 mila euro e 226 mila euro nel primo weekend.
CONSIGLIATO SÌ
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1945. A pochi giorni dalla Liberazione Osvaldo Valenti, attore famoso e ufficiale della X Mas guidata da Junio Valerio Borghese, decide di consegnarsi a una brigata partigiana comandata da Golfiero, regista inviso al Regime e mandato in passato al confino. Quella che Valenti cerca è la salvezza per sé e la sua compagna Luisa Ferida.
A partire da questa resa si ripercorre la vita dei due personaggi rimasti a lungo sulla ribalta del cinema italiano. Valenti, attore istrionico e uomo pronto a qualsiasi esperienza fino a divenire tossicodipendente, incontra Luisa attricetta alle prime armi e ne fa la sua amante benché lei fosse invece pronta a concedersi a Golfiero non conoscendone l'omosessualità. Da quel momento inizia un rapporto intriso di passione e di voglia di ribellarsi al conformismo di regime pur rimanendo Valenti un sostenitore del fascismo al punto di rifiutare l'incarico di Direttore Generale dello spettacolo (una carica che dopo l'8 settembre gli avrebbe facilmente consentito di viaggiare con la Ferida allontanandosi cosi' dall'Italia dilaniata). I due invece scelgono di unirsi alla Repubblica Sociale. Valenti trova in Borghese un altro personaggio al di fuori delle regole e si arruola nella X Mas. Nel momento del crollo di tutte le speranze di una revanche nazifascista i due però godono di una pessima fama. La vox populi vuole infatti che abbiano coadiuvato le abominevoli azioni di tortura della banda guidata dallo psicopatico Koch e che Luisa abbia anche danzato nuda per eccitare i torturatori. Sarà questo marchio d'infamia (mai supportato da prove convincenti) che li condurrà all'esecuzione.
Marco Tullio Giordana è senz'altro un regista coraggioso. L'uomo che aveva esordito con Maledetti vi amerò e che ha diretto film dal forte marchio di impegno progressista come I cento passi e La meglio gioventù rischia ora di essere inserito d'ufficio nella lista dei peggiori revisionisti della storia della Resistenza.
Cos'è successo? È possibile che il regista di un film di sei ore fortemente contrastato dalla Rai del governo Berlusconi 2 e poi mandato in onda (in seguito all'inatteso successo nelle sale) quasi di nascosto, si sia ora arruolato nelle file opposte? Non è possibile. Infatti Giordana rimane la persona rigorosa che è sempre stata anche quando racconta dei fatti che possono risultare sgraditi a quella parte politica che in passato lo ha sostenuto.
Anche perché questo progetto è nato nel 1980 e solo dopo il successo de La meglio gioventù ha potuto trovare una sua prima possibilità di produzione. Giordana vuole ristabilire la verità e raccontare di un popolo, quello italiano, pronto a elevare sugli altari della popolarità e del riconoscimento pubblico così come ad abbattere nella polvere del disprezzo. Allora come oggi e in più di un'occasione solo sulla base di calunnie e non di fatti. Detto ciò vanno aggiunte alcune brevi considerazioni. Una convinzione ormai radicata vuole che Monica Bellucci non sappia recitare e che faccia leva esclusivamente sulle sue doti fisiche. Giordana dimostra che, se ben diretta, la star è anche un'attrice ma possiamo stare certi che per molta critica sarà più semplice continuare a riproporre le valutazioni del passato. Zingaretti invece rischia molto con questa interpretazione istrionica a tutto tondo perché finché si è Montalbano o Don Puglisi è un conto, quando si diventa Osvaldo Valenti mostrando la maschera ma anche l'uomo il discorso cambia.
Chi accuserà Sanguepazzo di essere un feuilleton melodrammatico non avrà probabilmente tenuto conto che, per quei personaggi, quello era il modo di leggere e 'mettere in scena' la vita. Resta semmai una duplice critica da fare a Giordana. Desiderando fare onestamente chiarezza sulla vicenda ha rischiato di descrivere come 'personaggi' Ferida e Valenti disegnando attorno a loro una sorta di museo delle cere di personalità realmente esistite (anche se, come abbiamo detto, Zingaretti offre più volti del personaggio) finendo così, ad esempio, con il tratteggiare Junio Valerio Borghese come un distinto signore in cerca di emozioni diverse.
C'è poi quel finale, quello sì davvero pericoloso soprattutto per i molti, troppi giovani che hanno una conoscenza approssimativa di quei tempi; Se Giordana si preoccupa, giustamente del risorgente neonazifascismo, avrebbe fatto bene a pensare che chiudere in questo modo il film può far davvero scattare la molla del giudizio "erano tutti uguali". Non è vero e non è sicuramente quello che Giordana vuole. Ma il rischio c'è e non andava sottovalutato.
Monica Bellocci e Luca Zingaretti. Diretti da Marco Tullio Giordana in "Sanguepazzo". Storia vera sull'amore. Storia vera sull'amore di due divi del cinema fascista poi fucilati dai partigiani.
Eccessivi, smodati, anarcoidi, promiscui e torbidi, Monica Bellocci e Luca Zingaretti vanno incontro alla propria dissoluzione come se non potessero farne a meno, come se un dio greco avesse decretato l'ineluttabilità dei loro destino. E non è dato a loro umani di cambiarlo, prigionieri come sono dì un corpo che trabocca sensualità e trasgressione.
Nel perdersi, più dell'ideologia, possono ì vizi, oltre all'immagine costruita con la celluloide di artisti maledetti. Non che lo siano, le due star della nostra cinematografia, è che stavolta hanno voluto interpretare il loro doppio, due colleghi del passata, Luisa F la e Osvaldo Valenti, attori celebrati durante il regime fascista, poi aderenti alla Repubblica dì Salò, infine uccisi dai partigiani (30 aprile 1945) dopo un processo sommario. Storia vera. Portata ora sullo schermo, con qualche libertà obbligatoria per la drammaturgia, dal regista Marco Tullio Giordana coi titolo "Sanguepazzo" (a Cannes il 19 maggio, il produttore è Angelo Barbagallo, dura due ore e 28 minuti, una versione più lunga andrà in onda sulle reti Rai tra un anno), un modo siciliano per definire uno spirito «indisciplinato, eccentrico, incontrollabile».
È siciliano, nato però a Costantinopoli, era Valenti, emiliana la Ferida. Il fatale incontro su un set, nel 1939, segnerà il sodalizio artistico e la condivisione umana degli eventi epocali per due caratteri simili fino alla patologia. La vulgata resistenziale, non la storiografia, li ha voluti a lungo «giustiziati per le loro nefandezze>, perché torturatori della banda di Pietro Koch, una sorta di polizia parallela, responsabile di atrocità estreme, composta da degenerati. La leggenda aveva aggiunto il dettaglio di una Fetida che danzava discinta, nei sotterranei di villa Triste, in via Paolo Uccello a Milano, per aizzare i seviziatori. Giordana è portatore di un'altra verità e di una sicurezza: «Non era no colpevoli delle cose di cui furono accusati. Valenti frequentava, è vero, Koch, ma perché quello gli passava la droga che gli era necessaria». Aggiunge: « Non avrei mai voluto trovarmi nei panni di chi ha dovuto decidere dei loro destino. Probabilmente anch'io, date le circostanze, avrei scelto la condanna a morte. Si era nella fase in cui punire, alcuni simboli aveva la funzione catartica di salvare nitti gli altri. Solo coi capro espiatorio l'Italia poteva poi guardare in avanti». Oggi la sua versione è all'incirca accettata anche da chi si occupa professionalmente di ricostruire l'esattezza dei fatti. Il regista ricavò la convinzione 25 anni fa, quando cominciò a lavorare al tormentato progetto: «Ebbi allora l'occasione di parlare con i testimoni diretti, compresi alcuni dei plotone d'esecuzione. Da alcuni silenzi, da certe esitazioni, da un modo di abbassare gli occhi, cioè da dettagli che nessun libro potrà mai restituire, mi convinsi dei disagio di molti protagonisti».
Si tocca la Resistenza, argomento sensibile, con l'accusa di revisionismo che sempre incombe. Giordana non se ne cura: «Un artista ha l'obbligo di rappresentare ciò in cui crede con la più ampia libertà. Se altri lo usano in malafede, se ne rendono responsabili». Perché il suo non è un atto di accusa, semmai il desiderio di comprendere cosa successe: «Se gli eccessi, quando ci furono, fossero stati resi noti nel momento di massima efficienza del mito della Resistenza, cioè nell'immediato dopoguerra, il mito stesso non ne sarebbe stato intaccato e avremmo potuto più velocemente voltare pagina senza portarci dietro per troppo tempo i veleni che ci hanno costretto a vivere in una perenne guerra civile». Non successe, e allora è giusto farlo oggi piuttosto che non farlo affatto perché è meglio «avere un'adesione sostanziale a un'idea di cui si conoscono tutte le sfaccettature, piuttosto che ripetere stancamente degli slogan. Gli slogan si possono rinnegare dalla sera alla mattina». E comunque la Resistenza è abbastanza adulta per permettersi dei distinguo. Il che non significa non comprendere, senza condividere, «il pensiero di chi vuole tenere duro e non ammettere alcun errore. Queste persone temono che possa crollare l'intero costella».
E quello sarebbe un guaio. Perché, per un verso opposto, Giordana ritiene il film più necessario adesso di 25 anni fa, quando era solo un'idea: «Vedo circolare sentimenti di nostalgia, pensieri per cui il fascismo, il nazismo, l'antisemitismo, la dittatura possono essere ammissibili. Sarebbe sbagliato sottovalutarli perché, si dice, non ci sono rischi o perché siamo distanti da quell'epoca. Si fa in fretta a degenerare, la vigilanza deve rimanere alta». Osvaldo Valenti e Luisa Ferida non furono torturatori. Ma non ci sono concessioni alla follia totalitaria e alla sua sublimazione lacustre. Il film è un viaggio nella biografia individuale di due attori baciati dal successo e ruota attorno a una domanda inespressa ma assillante: perché aderirono a Salò? Avrebbero potuto imboscarsi, come altri colleghi. Invece decidono di andare fino in fondo per quella maledizione scritta nel carattere. Zingaretti ha perso cinque chili per immedesimarsi nell'uomo del tempo, meno rotondo di quanto lui non sia abitualmente. La Bellucci ne ha presi tre per il motivo opposto. Lui recita spesso a torso nudo e la fisicità è la sua cifra. Da quando imita iI Duce a quando la possiede divagando tra le varie possibilità del Karnasutra, soprattutto quelle che attraverso il sesso alludono al dominio. II coito deve un tributo alla teatralità e alla disperazione. Di forte accento una masturbazione lenitiva dell'astinenza da droga, davanti a una ragazzina. Entrambi sono credibïli per presenza e recitazione.
Se Valenti-Zingaretti è prima il celebrato divo del fascismo e poi il tenente della X Mas, il suo alter-ego è. Golfiero-Alessio Boni, un regista di talento (inventato) che lancia la Ferida e poi sarà partigiano coi nome di battaglia di Taylor. Omosessuale, anche lui a suo modo ama Luisa, non solo una donna procace e bellissima, ma anche idealmente incarnazione dell'Italia divisa tra due contendenti irriducibili nella loro diversità. Valenti si gioca persino alle carte «il mio posto nel suo letta», barando per vincere. Ma è a Taylor che la regina di bellezza concede l'unico bacio appassionato per eludere un controllo di documenti da parte dei fascisti. Nella tomba i protagonisti si portano il ricordo di cosa è stata per loro l'esperienza di quegli anni tragici. Per estensione, quello che è successo a tutti gli italiani. Marco Tullio Giordana va contro lo stereotipo circa la necessità di costruire una memoria condivisa: «Ogni individuo ha una propria personale memoria. Ed è condivisibile solo in quanto la racconta a qualcuno che la ascolta. Ma non si può pretendere che esista una memoria uguale per tutti, è un atto di prepotenza. Per questo esistono gli artisti, per dare voce alle memorie più diverse, per raccontare le storie. Noti la Storia. Quello è compito degli storici. Altra cosa sono i valori alla base del contratto civile «quelli sì, vanno condivisi, altrimenti non esiste società ». In questo senso il regista «è un impolitico». Si appassiona alla vita pubblica come tutti, ma la sua opera è un atto di responsabilità e deve sapere che, con quel gesto, può spingere le coscienze in una direzione...
Le scelte stesse delle "storie" naturalmente non sono neutre. Già il periodo non lo è. Giordana ha avuto un nonno, un padre che stettero con i partigiani. Il 25 aprile il padre entrò nella prefettura di Milano e sequestrò e nascose diversi documenti per evitare rappresaglie. Quelle carte circolavano per casa e diedero origine a una prima curiosità. A cui si aggiunge la volontà dei regista di indagare anni gloriosi del cinema italiano: «Mussolini capi le potenzialità della cinematografia come strumento di consenso. Non di propaganda, per quella bastava l'istituto Luce. Era più vicino a Hollywood che al modello sovietico. Promosse Cinecittà e gettò le basi per l'ossatura del nostro cinema successivo».
In "Sanguepazzo" ci sono tre cammei a titola di "amichevole partecipazione" di Sonia Bergamasca, una torturata, Luigi Lo Cascio, partigiano che fa parte del plotone d'esecuzione, e Marco Paolini, memorabile nel ruolo del commissario politico. Per ci-ti fosse curioso di distinguere il vero dalla finzione c'è una lunga intervista del regista con Lorenzo Codelli pubblicata, assieme alla novelisation della sceneggiatura, da Sperling & Kupfer in un volume di prossima uscita. I cosceneggiatorì Enzo Ungari e Leone Colonna sono entrambi scomparsi motto giovani. Se gli si chiede perché racconta il passato e non la contemporaneità, Giordana risponde: «è un falso problema. Ogni film è declinato al presente, persino quelli di fantascienza o sulla preistoria portano la data della loro costruzione, contengono i sentimenti dei tempo. Se cercano di evaderlo per scrupolo filologico falliscono l'obiettivo. Nessuno può essere nella testa di persone vissute anche solo l'altro ieri. Bisogna essere filologici dal punto di vista "male perché si forniscono informazioni, com'erano le macchine, le case, i vestiti, ì comportamenti sociali, ma lì comincia la libertà dell'artista immerso nel suo tempo». In Valenti e nella Ferida ha visto dei «caratteri italiani tornati in primo piano adesso, coi loro entusiasmo che sì alterna alla depressione, il rapido innamoramento verso un'idea che si muta in disillusione. In definitiva l'irresponsabilità che è la spia di una fragilità di fondo». Qualcosa che fa paura. E la paura si esorcizza raccontandola.
Da L'Espresso, 25 Maggio 2008
SANGUEPAZZO disponibile in DVD o BluRay |
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La storia raccontata da Marco Tullio Giordana in Sanguepazzo è quella di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, due attori italiani degli anni ’30, che lavorarono soprattutto in quei film definiti dei "telefoni bianchi" e che dopo l’armistizio dell’8 settembre si compromisero aderendo alla Repubblica di Salò. Consegnatisi ai partigiani, furono giustiziati perché [...] Vai alla recensione »
La storia, quella vera, quella ufficiale, dice ben altro. Osvaldo Valenti lascia Roma per recarsi a Venezia, nei territori della Repubblica Sociale. Qui indosserà una divisa della Decima Flottiglia MAS, non perché senza altri vestiti a disposizione, ma perché decide autonomamente e spontaneamente di aderire al corpo militare comandato da Junio Valerio Borghese.
Non mi è piaciuto il film perchè fa vedere i partigiani tremendi e loro due quasi degli eroi. Zingaretti e' bravo ma non e' il suo ruolo migliore e la Bellucci fa pena come sempre. Anche Giordana mi dispiace dirlo ha voluto solo fare un fumettone spacciandolo per un film sul fascismo e la guerra civile. Sembra quasi che approvi il loro modo di essere! E poi neanche un accenno alle famose "Ville tristi" [...] Vai alla recensione »
È un modo di dire siciliano, che il regista ha appreso ai tempi in cui girava I cento passi. Sanguepazzo (tutto attaccato) indica uno spirito indisciplinato, eccentrico, incontrollabile. Una testa calda, un elemento pericoloso. Nel nuovo film di Marco Tullio Giordana il titolo rivela la natura dei due protagonisti - coppia celebre nella vita e sullo schermo - Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, che, secondo le parole dello stesso regista, "si erano sempre comportati al di sopra di qualsiasi legge, contraddicendo ogni buonsenso e decenza, perfino orgogliosi della loro dubbia fama.
Sanguepazzo racconta l'assassinio di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti. Per farlo, Marco Tullio Giordana ha lottato a lungo, quindi Sanguepazzo nasce per un popolo ormai ignaro dei fatti del 1936-1945, i cui i personaggi sono annunciati da una didascalia verbale. O conglobati: Alessio Boni è Luchino Visconti fuso col partigiano Taylor; Luigi Diberti è il produttore Francesco Salvi fuso col funzionario [...] Vai alla recensione »
Finalmente. Era ora di frugare nella piaga della caduta del fascismo con tutto il suo corteo di fantasmi. Era tempo di raccontare la parabola maledetta di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti senza temere manipolazioni da destra né anatemi da sinistra. Ed è bene che a farlo sia un uomo non certo sospetto di revisionismo come Marco Tullio Giordana. Certi personaggi infatti sono così significativi che se non [...] Vai alla recensione »
Se ti scorre Sanguepazzo nelle vene fai una brutta fine. Se il sangue ti va tutto al cuore e poco al cervello di speranze di sopravvivere ne hai pochine, ma almeno quel poco che stai al mondo, lo fai al massimo. Chi ha sangue pazzo non ragiona: si eccita, rischia, cade e si rialza, investe chi gli sta di fronte col proprio (pre)giudizio e un amore incondizionato, folle, pericoloso.
Si vorrebbe non guardare, quando Luisa Ferida e Osvaldo Valenti vengono fucilati dai partigiani di Milano, il 30 aprile 1945. La guerra è finita da cinque giorni, ma i conti non sono ancora stati del tutto saldati. Del resto,con l'orgia di violenza che ha travolto il mondo, come pensare di poterla fermare da un momento all'altro? Marco Tullio Giordana parte da quelle ultime ore della "coppia maledetta" [...] Vai alla recensione »
Trovarono i cadaveri all'alba del 30 aprile del 1945, alla barriera di Milano, cinque giorni dopo la liberazione: lei era una delle donne più belle mai apparse sugli schermi italiani, lui uno degli attori più bravi. Si chiamavano Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, erano state star degli anni 30, soprattutto delle avventure epiche dirette da Alessandro Blasetti, dopo l'8 settembre del 1943 si erano uniti [...] Vai alla recensione »
Un film che la Rai non manda in onda, il sospetto di una censura: un classico del nostro tempo. Il primo caso che fece scalpore fu La meglio gioventù, che Marco Tullio Giordana aveva girato per la televisione ma che non riuscì ad essere trasmesso finché non ottenne un clamoroso successo al festival di Cannes e nelle sale cinematografiche. L'ultimo episodio riguarda di nuovo un film di Giordana: Sanguepazzo, [...] Vai alla recensione »
Valenti e Ferida, da divi dei telefoni bianchi a fascisti traditori giustiziati. Libere memorie dal passato (non ancora) remoto della nostra guerra civile per dire di un presente in pericolo. Giordana sa quel che fa. E che il cinema racconta storie, prima ancora che la Storia. Eccelsa direzione d'attori. BELLO - PER RIPENSATORI Da ViviMilano, maggio 2008
Storia vera, con qualche licenza poetica, della coppia più nera del cinema italiano, Osvaldo Valenti (Luca Zingaretti) e Luisa Ferida (Monica Bellucci). Emblemi del divismo autarchico fascista, che al realismo preferiva il glamour casereccio dei "telefoni bianchi", amanti scandalosi con una discreta dose di maledettismo (l'istrionico attore divenne sempre più dipendente dalla cocaina), Valenti e Ferida [...] Vai alla recensione »
Il 30 aprile del 1945, cinque giorni dopo la Liberazione, in un angolo di via Poliziano a Milano vennero trovati i cadaveri di Luisa Ferida e Osvaldo Valenti, giustiziati dai partigiani. A molti questi nomi diranno poco, ma erano la coppia più celebre del cinema fascista, colpevoli dell'adesione alla Repubblica di Salò dopo l'armistizio del 1943 e alla decima Mas (lui) di Junio Valerio Borghese.
Una storia vera, una storia inventata, una storia esemplare. È curioso il destino di Sanguepazzo, il film di Marco Tullio Giordana che sarà venerdì nelle sale italiane. Giordana inizia a pensarci nei primi anni 80, scrivendo il copione con due talenti irregolari scomparsi troppo presto, Enzo Ungari e Leone Colonna. Ma il film è costoso, sicuramente scomodo, e il regista giovane.
La Repubblica italiana diede mezzo secolo fa la pensione per le vittime di guerra alla madre dell'attrice Luisa Ferida, assassinata trentunenne quando era incinta a Milano. Era la fine d'aprile 1945: contro lei e l'amato Osvaldo Valenti, attore anche lui, spararono partigiani socialisti per ordine di Sandro Pertini. I due cadaveri furono visti all'obitorio da un ufficiale del Regio Esercito appena [...] Vai alla recensione »
Al di là della storia di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, star maledette del cinema mussoliniano, "depravati" ma accettati da un regime che sapeva nascondere bene la polvere sotto il tappeto, il nuovo film di Marco Tullio Giordana offre una serie di spunti per ragionare e riflettere sullo stato delle cose di ciò che una volta si chiamava Settima Arte e su ciò che, oggi, ci troviamo di fronte quotidianamente: [...] Vai alla recensione »
Storia di una coppia i cui nomi risuonano ormai solo nella memoria dei nostri nonni: Ferida-Valenti. Lei nelle pellicole del Ventennio spesso puttana, fedifraga, amante. Lui guascone, comprimario, gradasso e antagonista. Al regime fascista i due amanti prestarono il loro fascino ambiguo, la turbolenza della loro passione, l'adesione conformista a Salò, gli affari loschi del mercato nero.
Abbiamo seguito con il fiato sospeso il dibattito critico su Angelina Jolie, mamma straziata dalla scomparsa del figlioletto in "The Exchange", diretto da Clint Eastwood e in concorso al festival di Cannes. Chi fa notare che è troppo ben vestita anche nella sofferenza, chi sfotte amabilmente ("se recitazione vuol dire immobilità il premio per la migliore attrice è suo", chi la guarda con il disprezzo [...] Vai alla recensione »
Osvaldo Valenti, «nato a Costantinopoli e morto ovunque in scena», fu un fascista in senso guascone e piratesco. Efficace in ruoli da kattivo, divo per necessità di regime, «degenerato cocainomane», ufficiale della Xma Mas per vanagloria, compagno della bella e devota Luisa Ferida, attrice più dotata, richiesta e innocente di lui. Passarono dai fasti della neonata Cinecittà al tramonto veneziano di [...] Vai alla recensione »
«Una storia italiana», in francese, Sangue pazzo in italiano, riporta Marco Tullio Giordana in selezione ufficiale a Cannes, anche se fuori concorso, dopo il successo imprevisto di La meglio gioventù . È anche questo un affresco di vita italiana «eccentrico», che vuole svelare fatti e retroscena soprattutto emozionali, espulsi dalla storia ufficiale.
Gravato da uno stupido titolo francese («Une histoire italienne»), «Sanguepazzo» di Marco Tullio Giordana non ha incrementato l'euforia che sta spingendo il tricolore sulla Croisette. Sia pure fuori gara, infatti, l'atteso film dell'autore di «La meglio gioventù» ripresenta molti di quei difetti che impediscono ai nostri registi di svincolarsi dai canoni della fiction di lusso.
CANNES – “Modern Life” could be a default title for just about any Cannes film. When Sean Penn, the president of the jury, predicted at a press conference last week that the winner of the Palme d’Or would be a filmmaker “very aware of the times in which he lives,” he did not narrow the field very much. Period movies are fairly rare here, and the glossy tedium of Marco Tullio Giordana’s “Sangue pazzo” [...] Vai alla recensione »
"Une histoire italienne" : mélo historique sans émotion Auteur d'une belle fresque télévisuelle, Nos plus belles années (2003), Marco Tullio Giordana a cru pouvoir évoquer à la fois une page de l'histoire du cinéma italien et les heures sombres de son pays à l'époque du fascisme en retraçant l'existence de deux stars au destin tumultueux : Osvaldo Valenti, drogué et collabo, et Luisa Ferida, sa maîtresse, [...] Vai alla recensione »