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Storia dell'arte medievale, Pavimenti musivi, Brindisi: Cattedrale di San Giovanni SWiSH [pavimenti3brindisi.swi]


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di Luisa Derosa


 Introduzione  -  Le aree culturali  -  Le schede: BitontoIsole TremitiBariTarantoOtrantoTraniBrindisiGiovinazzoBibliografia essenziale


Brindisi: la Cattedrale come si presenta oggi (foto dal sito brindisiweb.com)

 

L’edificio

La cattedrale medievale di Brindisi venne quasi interamente distrutta da un terremoto nel 1746. L’edificio, edificato in prossimità del mare, presso le mura romane della città, prendendovi il posto dell’antica chiesa episcopale di San Leucio, il primo leggendario vescovo di Brindisi le cui reliquie erano state trasferite intorno al IX secolo nella città di Trani, in un sacello appositamente costruito sotto la cattedrale. Si trattò di un periodo molto confuso e tormentato per la storia della città: lo testimonia il trasferimento della sede vescovile nella vicina Oria, all’interno.

Fu grazie all’intervento del conte Goffredo di Conversano, grande protettore del monastero di San Benedetto a Brindisi, e di sua moglie Sighelgaida, se il titolo arcivescovile ritornò nell’antica sede, non senza lunghe diatribe e ribellioni da parte del clero oritano, conclusesi definitivamente solo nel XVI secolo. Nel 1089, in occasione del sinodo di Melfi, il conte normanno chiese al papa Urbano II di recarsi nella città pugliese per consacrare la cattedrale e sancire il definitivo rientro dei presuli brindisini dalla sede oritana. Il successo dell’iniziativa fu dovuto principalmente al fatto che la città rappresentava un passaggio obbligato per le rotte con l’Oriente. Per tutto il medioevo fu uno dei principali porti d’imbarco per la Terrasanta, così famoso che in un resoconto di viaggio del 1470 ad opera di due pellegrini di Bruges, Anselmo e Giovanni Adorno, si riferisce che nella città era custodito uno dei sei vasi in porfido delle nozze di Canaa, menzionati nel vangelo di Giovanni. Di essi secondo la tradizione si erano completamente perse le tracce, con l’eccezione dell’esemplare brindisino, donato alla cittadina pugliese da un pellegrino di ritorno dalla Terrasanta. Si tratta, ovviamente, di leggende, che però sono indicative non solo dell’importanza rivestita dalla città ma anche del clima di grande fervore religioso che Brindisi visse nel corso di tutto il Medioevo.

Della chiesa romanica rimane oggi ben poco. L’attuale edificio barocco ne ricalca la pianta. Si trattava di una chiesa ad impianto basilicale senza transetto, con tre navate divise da otto colonne. Oggi dell’edificio medievale si conservano solo all’esterno, in corrispondenza dell’abside destra, una serie di arcate cieche ed una mensola sostenuta da una testa di elefante. Nella sacrestia sono collocate, invece, due epigrafi, una relativa all’arcivescovo Bailardo (1122-1143), l’altra relativa a Ruggero II. Alcuni frammenti scultorei sono esposti nel locale museo.

Di questo antico edificio sussistono alcuni frammenti della originaria decorazione musiva che doveva, al pari di Otranto, ricoprire l’intero pavimento, venuti alla luce in seguito a due interventi di restauro risalenti al 1957 ed al 1968-69.

Nonostante la scarsità di lacerti rimastici conosciamo abbastanza bene l’intero programma decorativo, la data di esecuzione dell’opera ed il suo committente, grazie ad alcune descrizioni e ad alcuni disegni che si sono fortunatamente conservati. La prima fonte, dalla quale si ricavano il nome del committente e l’anno di esecuzione dell’opera, è una storia della città scritta nel 1604 dallo storico locale Giovan Maria Moricino, dal titolo Antiquità e vicissitudini della città di Brindisi. Un’altra preziosissima fonte per lo studio del mosaico brindisino sono alcuni disegni eseguiti tra il 1812 ed il 1813 dallo storico e antiquario francese Aubin-Luis Millin, conservati nella Biblioteca Nazionale di Parigi; infine, il resoconto dell’archeologo francese H.W. Schulz pubblicato nel volume Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien. Quest’ultima opera sui monumenti medievali dell’Italia meridionale, frutto di un lungo viaggio di studio risalente al 1834 (ma dato alle stampe nel 1860), contiene la più esauriente descrizione del mosaico.

Per la presenza di queste fonti si è scelto di affrontare nel corso della presente scheda l’analisi del mosaico nella sua interezza, distinguendo le parti ancora esistenti da quelle rilevabili attraverso la documentazione grafica.

 

IL MOSAICO

Ubicazione: i frammenti conservati si trovano nella navata sinistra dell’edificio ed intorno all’altare maggiore. In origine la decorazione musiva ricopriva l’intera superficie dell’edificio.

Datazione: un’epigrafe, oggi perduta, riportava la data di esecuzione del mosaico, il 1178.

Committenza: la stessa iscrizione riferiva anche il nome del committente, l’arcivescovo Guglielmo.

Materia e tecnica: tessere di calcare locale di colore bianco, nero, verde, grigio rosso arancio e giallo con inserti di tessere in pasta vitrea disposte ad opus tesselatum. Le misure delle singole tessere variano da 0,9 a 1,5 cm.

Scene tratte dalla Chanson de Roland nella descrizione di H.W. Schulz

Uccelli diversi  Uccelli affrontati  Tondo con aquila  Lo struzzo  Il capriolo

 

Descrizione: al centro della navata sinistra sono visibili due ampi frammenti che misurano rispettivamente cm 98x98 circa, e m 3,45x3,00 circa. Quest’ultima porzione di mosaico è collocata a circa un metro di distanza dalla precedente. Si distingue il tronco di un albero privo di rami nella parte inferiore che si estende per tutta la lunghezza della navata laterale nell’area del presbiterio, delimitata da una cornice con il bordo intessuto a canestro e decorato da fiordalisi. La base dell’albero poggia su un grosso bulbo che accoglie nel centro un grande fiore gigliato. Questa radice è sostenuta da due figure maschili. Quella di destra, di cui si è conservata solo la parte superiore, ha il corpo contorto per il peso e presenta un braccio più lungo del normale. La figura a sinistra si è invece conservata solo nella parte inferiore. è riconoscibile la corta tunica verde indossata e le calzature marroni. Su entrambi i lati dell’albero, intorno al cui tronco si avvolge un serpente, sono riconoscibili sei rotae abitate da animali. L’unico cerchio integralmente conservatosi accoglie nel centro due grifi araldicamente addorsati. All’esterno delle rotae sono collocati piccoli uccelli e decorazioni fogliate.

Il frammento più piccolo mostra ancora una porzione dell’albero con un grosso volatile poggiato su un ramo.

Gli altri resti del mosaico sono ubicati nello spazio del catino absidale e occupano all’incirca un’area quadrata di m 4,30x4,30 circa. La decorazione è anche in questo caso racchiusa da alcune cornici, caratterizzate da diversi schemi decorativi. Nell’area absidale, entro un bordo decorato con caratteri pseudocufici, sono riconoscibili quattro tondi che accolgono rispettivamente i resti di un grifo, due aquile, una di profilo ad ali spiegate l’altra di prospetto, ed un quarto animale non identificabile. Intorno all’altare, sul lato orientale, un bordo con una decorazione a caratteri pseudocufici inquadra un’ulteriore cornice di sezione rettangolare con tralci vegetali intrecciati popolati da figure animali.

Sul lato destro dell’altare un tralcio vegetale ad andamento sinuoso è delimitato da un’altra cornice decorata da un motivo floreale. Al bordo esterno di questa cornice si appoggiano i colli di due volatili affrontati. Sul lato sinistro, infine, si osservano varie figurazioni animali liberamente disposte sulla superficie.

Dalle descrizioni antiche e dai disegni ottocenteschi ricaviamo altre informazioni relative al mosaico. Nella navata centrale, dove era collocata l’iscrizione con il nome del committente e la data di esecuzione, si trovava «l’albore della descendenza d’Adamo di varie, e vaghe figure» (Moricino). La descrizione dello Schulz, più dettagliata, descrive un imponente albero centrale sorretto da elefanti e affiancato da numerosi animali, grifi, uccelli, capri e pesci. Tra questi, alcune scene del Vecchio Testamento come la cacciata dal Paradiso terrestre, la condanna al lavoro di Adamo ed Eva, (accompagnata dalla scritta «maledicta tra… in opere»), il sacrificio di Caino e Abele, il discorso di Noé a Dio, la costruzione dell’Arca (con l’iscrizione «Noe hac t…arca de ligno»), l’Arca nel mare del diluvio, Noé che pianta la vigna con i suoi figli. L’archeologo tedesco annota anche la presenza di una figura su un capro affiancata dalla scritta Ascanius ed altre scene tratte dalla Chanson de Roland. Questa sequenza narrativa aveva inizio con la figura del vescovo Torpino (identificabile grazie alla scritta in francese del proprio nome) a cavallo, affiancato da un altro personaggio sempre a cavallo in abiti militari intento a suonare un corno e da una terza figura di guerriero raffigurato poco distante. In un altro disegno compare Orlando che porta sulle spalle il corpo di un soldato morto mentre un angelo, disceso dal cielo, tende le braccia verso i due personaggi. Infine Orlando, identificato dalla scritta esplicativa del nome sempre in francese, che giace a terra morto soccorso da un personaggio barbuto. La narrazione si concludeva con un cavaliere che conduceva per la briglia un cavallo con accanto la scritta Luir e una scena di battaglia tra guerrieri dagli scudi allungati e tondi.

Un ultimo disegno del Millin mostra un elefante con gli arti decorati da rosette accanto ad una figura femminile intenta a portare alla bocca un frutto ai lati di un’esile pianta, con i piedi poggiati sopra un volatile. Sotto l’elefante una scritta frammentaria disposta intorno ad un semicerchio dove si legge: «…oc… op… fie… ecit…».

Iconografia: Le scene del ciclo di Orlando sono facilmente identificabili. La prima di esse rappresenta l’arcivescovo Turpino, a cavallo, che seda il dissidio tra Orlando e Oliviero adirato con il compagno per non aver chiamato in aiuto, attraverso il suono del corno, Carlomagno.

Il testo francese narra le avventure di Orlando e di altri undici paladini del re Carlomagno in guerra contro i musulmani di Spagna. Gano, patrigno di Orlando, che vuole vendicarsi di un presunto torto ricevuto dal paladino, d’accordo con il re saraceno Marsilio, convince Carlomagno ad affidare ad Orlando la retroguardia dell’esercito francese che sta rientrando in patria. A Roncisvalle, nelle gole dei Pirenei, Orlando ed i suoi compagni cadono in un’imboscata. Potrebbero salvarsi, se Orlando suonasse il magico corno per richiamare l’esercito di Carlomagno. Ma per orgoglio e per non mettere a repentaglio la salvezza del re, Orlando lo fa solo in punto di morte, nonostante le insistenze del fido amico e compagno Oliviero. Quando Carlomagno giunge a Roncisvalle, Orlando è ormai morto con tutta la retroguardia: a Carlomagno non resta che vendicare i suoi dodici pari, compiendo una feroce strage dei nemici.

La scena in cui una figura maschile regge sulle spalle il corpo di un guerriero morto, con la scritta Rollant sopra quest’ultimo ed un angelo che scende dal cielo per accoglierne l’anima, rappresenta la morte di Orlando, quando angeli e cherubini, secondo il testo francese, scendono dal cielo per condurre l’anima in Paradiso. Fa da contraltare a questa scena la figura di Caino che regge sulle spalle Abele, ormai privo di vita. Nella scena successiva, disegnata dal Millin, si vede l’eroe morto soccorso da una figura barbuta che si china su di lui. Nel cavaliere che conduce per la briglia un cavallo con accanto la scritta Luir potrebbe identificarsi la scena dell’eroe che accecato dal dolore per la morte di Oliviero risale sul cavallo Vegliantino per vendicare, con le ultime energie che gli rimangono, i compagni caduti. Nel racconto Orlando rischia di svenire ma le staffe d’oro gli impediscono di cadere. La scena di battaglia rappresenta la disfatta di Roncisvalle.

Al ciclo troiano si riferisce la figura di Ascanio.

La figura femminile che affianca l’elefante è stata invece identificata come Eva mentre porta alla bocca il frutto proibito. L’uccello raffigurato ai suoi piedi potrebbe essere una fenice, simbolo della resurrezione.

Dai frammenti disposti intorno all’abside non è possibile capire se ci fosse o meno un preciso programma. La stessa situazione si ripresenta per le decorazioni della navata sinistra, troppo frammentarie per identificarvi un preciso programma iconografico.

Osservazioni: Considerando tanto le decorazioni superstiti quanto le descrizioni ottocentesche ed i disegni si comprende facilmente come il mosaico di Brindisi riprendesse, soprattutto nello schema generale e nell’impaginazione, il mosaico di Otranto. Come in questo edificio un lungo albero fungeva da impalcatura e guida delle illustrazioni, aventi per soggetto gli stessi episodi del Vecchio Testamento. Come ad Otranto, inoltre, il mondo profano fungeva da appoggio ad un discorso più propriamente religioso. A Brindisi la disfatta di Roncisvalle, dovuta ancora una volta ad un peccato di orgoglio, pare assumere lo stesso valore dell’episodio dell’ascensione al cielo di Alessandro. Non è più possibile sapere a quali episodi questa sequenza fosse accostata. Secondo uno storico locale (De Leo) l’episodio era collocato sul lato sinistro, nello spazio dinanzi all’altare maggiore, occupando il bordo superiore della navata centrale. Significativa, però, è la presenza, accanto alla scena di Oliviero morente, di quella di Caino, paragonata ad una figura scolpita sugli stipiti dei portali medievali della chiesa, conservati nel locale museo Francesco Ribezzo. Entrambe i personaggi portano sulle spalle le figure dei morenti e l’unico criterio per distinguere le due raffigurazioni è dato dalle scritte esplicative. Tanto ad Otranto quanto a Brindisi, inoltre, per quanto è possibile capire, i vari episodi erano inseriti non secondo una narrazione coerente ed unitaria ma in base al loro valore di exempla, secondo uno svolgimento di tipo ‘oratorio’.

Significativo, nel mosaico in esame, è il fatto che, quasi con un certo rigore filologico, i nomi dei protagonisti comparissero in francese. Tale particolare è probabilmente spiegabile considerando che il disegno che funse da modello per queste scene avesse nomi francesi, fedelmente ricopiati dalle maestranze che attesero alla stesura musiva. Sappiamo, però, che nel XII secolo ben quattro vescovi brindisini furono di origine francese, anche se non tutte le fonti di ispirazioni identificate dalla critica, furono francesi. Se alla Chanson de Roland possono ricondursi la maggior parte delle scene, per alcuni episodi, che non trovano riscontro nel ciclo carolingio, sono state ritrovate concordanze con altri testi, come il tedesco Ruolantes e le due versioni italiane della Rotta di Roncisvalle e del Viaggio in Spagna, diffusi in ambito normanno in Sicilia. Il mosaico di Brindisi, dunque, accoglie anch’esso «temi vastamente circolanti, e non legati all’autorità di una precisa fonte letteraria» (Frugoni).

Secondo la Rash Fabbri un altro disegno, conservato nella collezione Millin, potrebbe riferirsi al mosaico brindisino, sebbene differisca per la tecnica dagli altri quattro. Nel disegno cinque file di tre tondi, intrecciati e distanziate in modo irregolare, accolgono figure di animali fantastici. Altre raffigurazioni zoomorfe occupano gli spazi liberi tra i cerchi. Sui tre lati una cornice a caratteri pseudcufici, sul quarto lato, invece, si osserva un bordo decorato da fiordalisi. Esistono tra le decorazioni di questo disegno ed i resti musivi del presbiterio sorprendenti affinità, non solo per quanto riguarda la decorazione dei bordi ma anche per alcune caratteristiche degli animali.

Il disegno potrebbe rappresentare o una sezione della navata centrale, o la parte orientale della navata laterale destra, dato che la maggior parte degli animali volgono lo sguardo a sinistra.

Questo disegno rafforza l’ipotesi che il pavimento di Brindisi non sia una fedele riproduzione di quello di Otranto, né tantomeno che sia stato eseguito dallo stesso Pantaleone e dalla sua bottega. L’ideatore del mosaico di Brindisi creò una diversa composizione, assumendo da Otranto alcuni elementi, come l’albero sostenuto da elefanti e affiancato da animali, e alcune scene della Genesi.

La sostanziale differenza tra le due opere consiste, inoltre, nello stile con cui furono eseguite. Una maggiore scioltezza di segno contraddistingue le figure brindisine, caratterizzate da membra particolarmente allungate, corpi inarcati e a volte contorti, quasi a voler creare un effetto di dinamicità. Le stesse tessere musive sono poi disposte più regolarmente sulla superficie, al contrario di quelle otrantine.

Il confronto tra l’impaginazione entro rotae e la presenza di motivi pseudo-epigrafici nelle decorazioni delle cornici ha fatto avanzare, inoltre, confronti con il pavimento di Taranto.

 


BIBLIOGRAFIA SPECIFICA

R.IURLARO, Studio sulla cattedrale di Brindisi, in «Arte Cristiana», 56 (1968), pp. 234-244.

P. BELLI D’ELIA, Sculture medievali nel Museo Provinciale di Brindisi, in «Amministrazione e politica», 6 (1973), pp. 694-702.

N. RASH FABBRI, A Drawing in the Bibliothèque Nationale and the Romanesque Mosaic Floor in Brindisi, in «Gesta», 13 (1974) pp. 5-14.

P. BELLI D’ELIA, s.v. Brindisi, in Enciclopedia dell’Arte medievale, iii, Roma 1992, pp. 755-758.

R. CARRINO, Il mosaico pavimentale della cattedrale di Brindisi, in xliii Corso di cultura sull’Arte ravennate e bizantina. Seminario internazionale di studi sul tema “Ricerche di Archeologia e topografia” (Ravenna 1997), Ravenna 1998, pp. 193-221.

L'immagine di apertura (la Cattedrale) è tratta dal sito www.brindisiweb.com.

 

 

©2005 Luisa Derosa

   


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