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Jinn

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Il jinn (AFI: [ʤin:]; in arabo جِنّ?, anche traslitterato come ǧinn o, nella grafia francese semplificata, djinn; pl. jinna, coll. jān, agg. jinnī, in arabo جني?), spesso tradotto come genio, è una creatura citata nel Corano, e indica, nella religione preislamica e in quella musulmana[1], un'entità soprannaturale, intermedia fra il mondo angelico e l'umanità, avente perlopiù carattere maligno; anche se in certi casi può mostrarsi in maniera del tutto benevola e protettiva.

Illustrazione del XVI secolo di tre jinn, dal libro Ahsan-ol-Kobar (Palazzo del Golestan, Teheran)

L'etimo della parola è stato a lungo discusso. In passato alcuni studiosi hanno fatto derivare il jinn dal Genio della mitologia romana, ma questa lettura a oggi è stata abbandonata. Piuttosto, oggi si ritiene che la parola derivi dal semitico gianna, ossia "coprire": i jinn rappresenterebbero dunque gli esseri che ricoprono o opprimono l'essere umano con le loro azioni occulte.[2]

È da notare, inoltre, come il termine stesso si avvicini foneticamente a Geenna: il luogo infuocato immaginato dall'ebraismo, ove le anime cattive rimarrebbero per l'eternità.[3]

In età preislamica (jāhiliyya) ai jinn era attribuita notevole potenza, ed erano ritenuti capaci di esprimere una devastante e spesso mortale cattiveria. Gli storici della religione islamica credono che tali entità fossero direttamente ricollegabili all'ostilità dell'ambiente fisico in cui vivevano gli Arabi della Penisola Arabica, tanto sedentari quanto nomadi (beduini), senza in alcun modo rifarsi a modelli allogeni.

Di tutti i jinn i più crudeli erano le ghul,[4] spesso rese in traduzione con il termine orco (per rifarsi a contesti occidentali noti attraverso la fiabistica). Non meno crudeli nel tendere tranelli ai viaggiatori, in genere per ucciderli, erano anche gli ʿifrīt,[5] le siʿlāt (sing. siʿla), la qutrūba, il mārid, il mārij; relativamente innocuo era invece considerato l'ʿāmir. Tutti i jinn erano in grado di presentarsi sotto molteplici aspetti esteriori: la loro caratteristica generale sarebbe stata e rimarrebbe l'estrema mutevolezza e la totale inafferrabilità.[6] Nel folclore turco e mongolo sono indicati con il termine çor, entità invisibili nate dal fuoco, ma visibili quando muoiono. Si riteneva che fossero responsabili di diversi disturbi mentali. Si pensava inoltre che queste entità abitassero in luoghi desolati come case abbandonate o rovine, che temessero il ferro e che scomparissero se qualcuno pronunciava la Basmala. Benché temuti non erano necessariamente di natura malvagia.[7]

Nel folklore senegalese, sovrapponendosi agli spiriti delle tradizioni arcaiche locali, il jinn poteva divenire molto pericoloso se disturbato od offeso, colpendo le funzioni vitali dei colpevoli di tali misfatti e soprattutto privandoli del nit, ovvero della personalità.[8] Inoltre potevano collaborare con le streghe dömm, custodendo lo spirito vitale rubato da queste alle loro vittime.[9]

L'islam accetta l'esistenza dei jinn, sia pure neutralizzandone pressoché tutte le potenzialità malefiche principali, limitandole a un fastidio più o meno accentuato. Secondo la cultura islamica esistono anche jinn buoni e in condizioni di beneficare l'essere umano. Ciò perché, già all'epoca del profeta Maometto, alcuni jinn si sarebbero convertiti all'islam ascoltando le parole rivelate dal Profeta stesso.[2]

Un tipico esempio di jinn è l'essere che, nella favolistica collegata alle Mille e una notte, Aladino libera da una lampada al cui interno è rimasto prigioniero, in cambio dell'esaudimento di ogni suo desiderio. Nelle fiabe, in ossequio a una diffusa credenza non solo islamica, un totale potere sui jinn sarebbe stato espresso da Salomone (in arabo Sulaymān), considerato come uno dei più grandi profeti precursori di Maometto.

Nel Corano è riportato che i jinn si originarono all'inizio dei tempi, come tutte le altre creature, grazie all'intervento di Allah. Essi, a differenza degli umani (che avrebbero natura di terra) e degli angeli (la cui natura sarebbe di luce), ebbero origine dal fuoco. Ai jinn, secondo lo stesso Corano e i trattati di demonologia islamici, apparterrebbe Iblīs: termine certamente adattato dal greco diàbolos per indicare Satana (chiamato peraltro Shayṭān).

I modernisti islamici hanno tentato di adattare la fede nei jinn al portato della moderna scienza: qualcuno (come Muhammad Abduh) ha ipotizzato che batteri e microbi non fossero – per esempio – altro che jinn in grado di produrre risultati talora fatali sul corpo umano;[10] tale lettura, comunque, non ha incontrato grande favore fra i credenti musulmani.

Il jinn nella cultura di massa

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La figura del jinn, più spesso sotto il nome di "genio", è stata ripresa diverse volte nell'ambito del cinema e della televisione, così come delle opere letterarie.

  1. ^ (FA) Islamshia » I jinn nelle fonti islamiche, su islamshia.org. URL consultato il 12 luglio 2022.
  2. ^ a b GINN in "Enciclopedia Italiana", su www.treccani.it. URL consultato il 12 luglio 2022.
  3. ^ Geenna nell'Enciclopedia Treccani, su www.treccani.it. URL consultato il 12 luglio 2022.
  4. ^ Di cui si ricorda l'"incontro" con il poeta preislamico Taʾabbaṭa Sharran.
  5. ^ Di cui parla il Corano (XXVII:39).
  6. ^ Lo Jacono, 1995, p. 194.
  7. ^ Deniz Karakurt Türk Söylence Sözlüğü: Turkish - Turkic Mythology Dictionary / Glossary Deniz Karakurt 2011 pagina 114.
  8. ^ Lospinoso, p.69.
  9. ^ Lospinoso, p.56.
  10. ^ Lutz Berger, Esprits et microbes: l'interprétation des ğinn-s dans quelques commentaires coraniques du XXe siècle, in Arabica, vol. 47, n. 3, 2000, pp. 554–562. URL consultato il 12 luglio 2022.
  11. ^ Rudyard Kipling LA GOBBA DEL CAMMELLO, su La Poesia. URL consultato il 30 aprile 2020.
  • (AR) Ǧalāl al-Dīn al-Suyūṭī, Laqat al-murǧān fī aḥkām al-ǧānn, Il Cairo, Maktabat al-turāth al-islāmī, s.d..
  • (AR) Kamāl al-Dīn al-Damīrī, Ḥayāt al-ḥayawān al-kubrà, Beirut, Dār al-albāb,, s.d.. (in margine, come di consueto, ad al-Qazwīnī)
  • (AR) al-Ǧāḥiẓ, Kitāb al-ḥayawān, Il Cairo, M. M. Hārūn, Muṣṭafā al-Bābī al-Ḥalabī, 1967.
  • (AR) Zakariyyā ibn Muḥammad al-Qazwīnī, Aǧāʾib al-makhlūqāt wa gharāʾib al-mawǧūdāt, Beirut, Dār al-albāb, s.d..
  • (AR) Abū ʿAbd Allāh Muḥammad al-Shiblī, Ākām al-murǧān fī aḥkām al-ǧānn, Beirut, Dār al-qalam, 1988.
  • Claudio Lo Jacono, Di alcune particolarità dei "ǧinn", in Un ricordo che non si spegne. Scritti in memoria di Alessandro Bausani, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1995, pp. 181-204.
  • Claudio Lo Jacono, Noterelle sui ǧinn negli Ākām al-marǧān fī aḥkām al-ǧānn di Abū ʿAbd Allāh al-Šiblī, in Quaderni di Studi Arabi n. s. 14 - 2019 - L’ARCA DI NOÈ - Studi in onore di Giovanni Canova, Roma, Istituto per l'Oriente C. A. Nallino, 2020, pp. 461-477.
  • Mariannita Lospinoso, Maghi e medici di un paese africano Senegal, Genova, Libreria Mondini & Siccardi, 1978.
  • Virginia Vacca, Appunti su un trattato arabo di ginnologia, in Studi e materiali storici e religiosi (Studi in onore di Alberto Pincherle), II, n. 38, 1967, pp. 646-654.

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