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Disfemismo

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Il disfemismo è una figura retorica opposta all'eufemismo[1], molto comune nel linguaggio parlato, che avviene quando si sostituisce una parola normale con un'altra di per sé sgradevole[2], che però nel contesto acquisisce un valore neutro o positivo.

La parola disfemismo deriva dal greco dys δύς "mis-" e "pheme" φήμη "discorso, voce, reputazione".

Il lessico (o il gergo o lo slang) espresso da alcuni gruppi sociali o di alcuni individui può contemplare l'utilizzo di alcuni sintagmi come manifestazione di disprezzo[3] per valori generalmente condivisi: il disfemismo svolge questa funzione, attribuendo connotazione positiva a termini utilizzati originariamente con connotazione negativa[4]. Con l'evoluzione della società, dei costumi o con la circolazione delle élite, questo tipo di utilizzo può abbandonare la sua genesi di nicchia, registrando una mutazione semantica del sintagma che lo porta ad essere accettato, nel nuovo significato, dall'intera società[5].

Similitudini e differenze

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È simile al cacofemismo (dal greco kakos κακός "cattivo") o al malfemismo (dal latino malus "cattivo"), dove l'intento è generalmente positivo o affettivo, talvolta anche interpretando in senso opposto il suffisso dispregiativo[6].

Trattandosi nella variazione di significato di una singola parola, non rientra propriamente nella definizione di metalogismo, che attiene ad una locuzione ovvero ad una costruzione di più parole: l'effetto di trasformazione di senso è però il medesimo, perché ambedue i costrutti attivano gli stereotipi presenti nella memoria dell'ascoltatore e influenzano la sua interpretazione del testo (in senso positivo, se si accetta il gruppo che propone quell'utilizzo diversificato).

Esemplificazione

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Esempi di disfemismi in lingua italiana sono i seguenti:

  • «Ragazze... tutte in coppietta col lor vigliacco.» (Cesare Pavese; dove vigliacco sta per fidanzato, secondo un uso regionale dell'Italia settentrionale)
  • «Siamo usciti coi nostri vecchi.» (dove con vecchi si indicano bonariamente i propri genitori)
  1. ^ (ES) Natalías, V. E. (2009). Revisión del concepto de eufemismo: una propuesta de clasificación. Revista Internacional De Lingüística Iberoamericana, 7(2 (14), 147–163.
  2. ^ (EN) Fernández, Eliecer Crespo. “Sex-Related Euphemism and Dysphemism: An Analysis in Terms of Conceptual Metaphor Theory.” Atlantis, vol. 30, no. 2, 2008, pp. 95–110.
  3. ^ (EN) Farghal, Mohammad. “Dysphemism in Jordanian Arabic.” Zeitschrift Für Arabische Linguistik, no. 30, 1995, pp. 50–61.
  4. ^ (ES) Lara, Luis Fernando. “EL LÉXICO, SÍMBOLO SOCIAL.” Curso De Lexicología, 1, reimpresión ed., vol. 2, Colegio De Mexico, México, D.F., 2006, pp. 213–230, che fa il caso degli "adolescenti, il cui processo di maturazione richiede una chiara distanza dalla generazione dei suoi genitori (...) è comune per i giovani prendere parole dai lessici di gruppi socialmente emarginati o addirittura dal crimine".
  5. ^ Si tratta di un fenomeno che si segnala per alcune denominazioni, utilizzate per fenomeni storici prima avversati e poi accettati: i Geuzen erano stati definiti tali dalla gerarchia cattolica delle Province Unite, ed invece scelsero di utilizzare questo termine proprio in fiera risposta ai loro antagonisti (che si sarebbero trovati ad essere sconfitti da degli straccioni); gli Impressionisti furono definiti tali dal critico Louis Leroy (che aveva voluto utilizzare in guisa satirica il titolo di un quadro del caposcuola Monet, in un suo articolo sulla rivista Charivari) e, invece, scelsero di essere designati come tali (la prima volta che compare in senso positivo il termine è ad opera di Jules-Antoine Castagnary), proprio accogliendo l'idea di produrre con i loro quadri un effetto impressionante sul pubblico.
  6. ^ Per Niccolò Capponi, Il Principe inesistente. La vita e i tempi di Machiavelli, Il Saggiatore, 2012, p. 40, "il suffisso -accio, che in italiano ha un'accezione spiccatamente negativa, a Firenze è spesso usato con una sfumatura affettuosa: ragazzaccio, per esempio, può a volte indicare un ragazzo molto vivace"; si tratterebbe di un "uso di termini negativi con valore positivo".
  • Plaff Kerry - Raymond W. Gibbs - Michael D. Johnson, Metaphor in using and understanding euphemism and dysphemism, Applied Psycholinguistics, 1997, volume 18, issue 1, pp. 59–83, doi 10.1017/S0142716400009875
  • Allan, Keith; Burridge, Kate (2001). Euphemism and Dysphemism: Language Used As Shield and Weapon (1st Replica Books ed.). Bridgewater, N.J.: Replica Books. ISBN 978-0-7351-0288-0.
  • Fairclough, Norman (2001). Language and power (2nd ed.). Harlow, [u.a.]: Longman. ISBN 978-0-582-41483-9.

Voci correlate

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